Quando la musica elettronica comincia a impiantarsi come il famoso microchip sottopelle del quale da anni sentiamo profezie mistiche, basterebbe un’iniezione di In My June per ripercorrere la via del classicismo, della materia articolata che produce suono con tocchi umani. Blind Alley fa da curativo per i disagi della vita frenetica: l’apporto di pathos è notevole, la voce di Paolo è tragicamente umana ma non odiosa, il crescendo di violoncello di Laura è maestosamente emozionale. Anche solo 5 o’clock, minimale nell’insistere sul “you called me at 5 o’clock” potrebbe durare 2 minuti o dieci ore, il risultato sarebbe comunque degno. Se Elliott Smith non fosse stato immerso nelle tragedie umane che ha vissuto, avrebbe prodotto qualche speranza come gli In My June. Qualche episodio stona per la troppa foga, poichè è nella calma e nei tempi in 3/4 che esprimono tutto il loro potenziale. Meditativi e distensivi.
Paolo ( voce – chitarra)
Ricky ( chitarra – voce – ukulele )
Laura ( cello – piano )