Side-project del batterista degli Zen Circus, Karim Qqru, La notte dei lunghi coltelli è un trio dedito ad una commistione di generi e stili, in particolare l’hardcore punk anni ’80 e l’elettronica sperimentale ‘90s in bilico tra violenza Atari Teenage Riot e i selezionati lavori ambientali di Aphex Twin, che in questo Morte A Credito, loro esordio, mira ad indagare le miserie umane moderne appellandosi fin dal titolo all’opera di Céline e di altri autori dello scorso secolo, oltre che alla propria sensibilità ed esperienza.
Tra i due generi citati quello in cui Karim e compagni sembrano più a proprio agio è l’hardcore duro e veloce, attitudine che noi italiani sappiamo fare nostra con ottimi risultati da un trentennio; quando i ritmi calano e si cerca di creare atmosfera rifacendosi ad ambiti più sperimentali il risultato è invece meno avvincente.
Ci troviamo così a farci trasportare dalla rabbia ben espressa di brani come La caduta, che muovendosi in territori Negazione ci trascina verso l’impatto tenendo ben presente che il problema è l’atterraggio, come nella famosa frase dell’Odio di Kassovitz, come La nave marcia, che alterna sfuriate Nerorgasmo a passaggi inquietanti, e come la title-track, tra teatralità ed un approccio HC asciutto e diretto.
Ci sono però altri momenti che fanno calare eccessivamente la tensione: ad esempio gli oltre quattro minuti elettronici e di rumore bianco di Ivan Iljc, che stentano a decollare, i cinque di D’isco deo, litania in dialetto sardo con più di un debito verso i CCCP difficile da seguire sia per il vernacolo utilizzato che per la scarsa evoluzione, e quelli che chiudono il disco, una specie di reading distorto, sibilante e catacombale che fa fatica a comunicare il suo senso.
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