“Oh Dear!”… un altro disco che ci porta oltreoceano. Verrebbe quasi da utilizzare così, questa espressione che dà il titolo al nuovo album dei Settlefish. Saranno anche le origini canadesi del cantante Jonathan Clancy, sarà l’ottimo lavoro di mixaggio di John Congleton, ma qui non è “solo” questione di influenze, di riferimenti più o meno colti… al limite diventa relativa anche la questione del suono: qui è la qualità, canzoni e arrangiamenti, a darci l’illusione che questo pezzo di Bologna sia parte della geografia americana. “Oh Dear!” fa un passo in avanti rispetto al pur valido predecessore (“The Plural Of The Choir”, Unhip, 2005) e si spinge oltre sul piano della personalità espressiva. La scuola emo (quello buono) c’è e si sente, ma questa volta è una presenza più discreta rispetto al passato; nelle tracce di “Oh Dear!” prevale una sensibilità maggiormente (indie)rock anche se i Settlefish si guardano bene dal ripercorrere gli stilemi del genere in maniera pedissequa. Certo, in molti brani prevalgono soluzioni chiaramente riconducibili alla grande accoppiata Modest Mouse–Built To Spill (“Lonely Boy” su tutte ma anche la splendida “Whirlwind In Delivery”), tuttavia le canzoni dei Settlefish sono sempre capaci di inaspettati e spiazzanti cambi di rotta: entusiasma “Summer Drops” con il suo incedere sincopato che cresce piano piano fino a trasformarsi in un inno che abbraccia insieme gioia e malinconia che quasi quasi vengono in mente i Flaming Lips… “This City” lascia spazio alle tastiere e ricorda i Cursive mentre in “The Boy And The Light” suonano così pop da avvicinarsi all’Inghilterra come mai prima. Insomma, i Settlefish non si risparmiano nelle quindici tracce di “Oh Dear!” e anche ai brevi intramezzi vengono affidati dei piccoli gioielli: “Interlude 1 (A Second Of Your Time)” è un bozzetto che sembra uscito dalla penna di Lou Barlow. I Settlefish costruiscono i loro brani così, strato su strato, con un grande senso della melodia che non viene mai sprecata in arrangiamenti banali o in soluzioni facilmente prevedibili. “Oh Dear!” è un disco che cresce ascolto dopo ascolto. Ancora una volta Bologna, ancora una volta la Unhip.