Solita pletora di tostissime etichette underground italiche e non (c’è anche la francese Swarm) per il disco dei Treehorn, gruppo che gravita appunto nel paradiso noise di Cuneo e dintorni; il giro della Canalese Noise è sinonimo di qualità, basti pensare alle uscite più o meno recenti di gente come Ruggine, Fuh, Io Monade Stanca. Ascoltando Hearth i cultori e i nostalgici dello stoner rock più desertico avranno un colpo al cuore: l’attacco di Stockholm non da adito a dubbi di sorta, col passo da Mammuth della sezione ritmica e quel riff (e quella voce!) che è pura emanazione del Kyuss-sound più pesante di sempre. I Treehorn condensano in queste 8 lunghe tracce suggestioni molteplici ed influenze eterogenee: la pesantezza tipicamente sludge di alcuni passaggi viene sporcata con intricati riffing post hardcore memori dei migliori Tool (Senescence), la grana sempre heavy dei pezzi viene arricchita con dosi massicce di psichedelia cosmica (ascoltare la strumentale Aluminium, un mantra che celebra l’incesto tra Sleep e Om). Il filo conduttore è sempre il blues, pesante-drogato-marcio quanto volete, imbottito di testosterone ed annaffiato di Bourbon, ma è sempre la cara e vecchia musica del diavolo a tenere le danze su quest’album: nell’aggressività hard-stoner di Freeway To The Sun, nel passo più sornione di Wakin’ Life, negli spasmi grunge da primi Soundgarden stuprati di Apostolic. Risulta comunque riduttivo giocare ai paragoni: Hearth è un album suonato ed arrangiato magistralmente, che sicuramente nulla inventa, ma ripropone certe sonorità con uno stile ed una chimica invidiabili. Disco consigliato.