Umberto Maria Giardini, un tempo noto come Moltheni, s’è guadagnato, negli anni, il diritto di proseguire nel solco da lui stesso tracciato con coerenza e passione: struttura alt-folk, plumbeo intimismo, cadenze spesso vicine al post-rock per dolci (depresse?), elegie (sub)urbane. In La dieta dell’Imperatrice – prodotto da Antonio Cooper Cupertino e uscito a quattro anni di distanza da I segreti del Corallo (in mezzo, ci sono state le geometrie variabili dei Pineda) – figurano episodi, come Il desiderio preso per la coda e Il sentimento del tempo, nei quali fa capolino una fisicità assente in Moltheni (vagamente rinvenibile solo in Fiducia nel nulla migliore, dalla più massiccia produzione alt-rock). La spettrale L’imperatrice introduce le sonorità dolcemente ossessive di Anni Luce e Saga e le abuliche rese sentimentali di Il trionfo dei tuoi occhi e Quasi Nirvana (dove Giardini canta “Toglimi/ come va tolta la carie dai denti”). Discographia, Fortuna, ora, più aggressiva, Genesi e mail e L’ultimo venerdì dell’umanità presentano atmosfere cristalline e, nel contempo, funeree che rimandano al sopracitato I segreti del corallo. Si avverte il consueto rapporto ostile col mondo esterno, al quale fa da contrappeso l’anelito di comunione con la Natura, intesa come radicale alterità, vagheggiata oasi nella quale rifugiarsi, per fuggire le incomprensioni e i dolori insiti nelle relazioni umane. L’introversione ci porta in cima alla vetta, ma la sottile brutalità del presente ci scaraventa nuovamente a valle con uno spintone: “Ridi civetta, che quaggiù in città/ Dove peno io/ L’uomo ha fretta. Dice sempre no/ a meno che non ci sia una vagina”. Tutto questo è Umberto Giardini. Prendere o lasciare. Noi prendiamo.