Un titolo da Baustelle, quasi fosse un approfondimento de I provinciali, ma guardando verso lo scorso anno anche ai Non Voglio Che Clara. Confezione e libretto che confermano le aspettative, con le foto di un matrimonio qualunque nello stivale di forse quarant’anni fa, tra capigliature improponibili e vestiti buoni della domenica. Questo è, all’apparenza, Gli Abitudinari, disco d’esordio dei bergamaschi Venua. All’apparenza, dicevo, perchè non siamo di fronte al melting pot memorialista, qui non si rievocano né i Supertele sotto le 127 né l’estate dell’82 a Guardia. Gli Abitudinari lascia le sue buone intenzioni sulla carta, alla descrizione minuta di personaggi simbolo di un’epopea italiana ancora non conclusa si sostituisce una vaga visione generale, costruita per far adattare ad ogni ascoltatore un protagonista personale. L’obiettivo è ancora più ambizioso, e perciò fallisce. Tolta questa parentesi, i Venua non sono un gruppo da buttar via. Hanno le potenzialità, soprattutto in fatto di musica. Come si direbbe in gergo, hanno un bel tiro, spingono sul ballabile risparmiandoci lentoni evitabilissimi. Chitarre e tastiere si amalgamano bene, e osando anche sul rock’n’roll di Barrie non scivolano. Funziona Bene, con il suo ritornello discendente, appunto funziona bene, ma le migliori tracce sono la title track, mezzo tango mezzo boogie e dalla coda alla Zen Circus, e la successiva Tunnel, puro funky elettronico. Per i suoni ci siamo in pieno, per le liriche e anche per qualche tendenza vocale eccessiva rimando a settembre.