Sono molteplici e di alto livello le avventure musicali che hanno portato a The Blue Fairy Mermaid Princess, disco fradicio di avant-jazz fino alle ossa, ma nondimeno schietto e comunicativo, di una limpidezza a tratti disarmante. Sarebbe necessario un approfondimento a parte per citare tutti i progetti e gli artisti, delle estrazioni più diverse, ai quali Micah Gaugh, negli anni, ha prestato la propria abilità di tastierista e sassofonista, arrivando a lambire elettronica, hip-hop, jazz poetry, musica brasiliana, shoegaze e chi più ne ha più ne metta: Eve Packer, DJ Spooky, Jorge Amorim, Davi Moraes, Apollo Heights, vecchie glorie avantgarde come l’immancabile John Zorn, Arto Lindsay – che ne ha anche prodotto l’esordio solista Everything – Cecil Taylor; e tenete presente che questa lista non è assolutamente esaustiva.
Micah (voce, piano e sassofono) trova qui la propria dimensione ottimale, accompagnato da Kevin Shea (batteria) e Daniel Bodwell (contrabasso). Anche questi ultimi hanno accumulato esperienze diversificate, le quali divisero le sorti del gruppo, già attivo nella prima metà degli anni ’90 con la ragione sociale 40 Stories, quando annoverava anche il chitarrista Oliver Kollar. In seguito, Bodwell si spostò in Irlanda, per suonare con Sinead O’Connor, mentre Shea entrò negli Storm & Stress. Dal canto suo, Micah raggiunse la Grande Mela, per collaborare con il già citato Cecil Taylor, nel 1994.
Ma torniamo a noi. L’approccio musicale libero e la formazione, stabilizzatasi in trio, palesano l’ispirazione schiettamente jazzistica del disco in questione. Segnatamente, questa materia magmatica, nella quale è facile ravvisare una forte unità d’intenti – tanto che in alcuni casi manca una vera e propria cesura fra una traccia e l’altra – potrebbe essere accostata al “grido silenzioso” di Albert Ayler e fa di The Blue Fairy Mermaid Princess un’opera che si sarebbe sentita a casa nel catalogo ESP dei tempi d’oro. Emerge però anche un piglio personale nel mettere in fila questa dozzina di fiori blues emersi dall’asfalto, tra echi di fanfare e arcaiche tradizioni, e resi carne da una voce ricca d’increspature. La genuinità vocale di Micah, infatti, rifugge il solipsismo e tradisce la gioia ringhiante per la vita – a maggior ragione, quando incistata dal dolore e dalla morte o gettata nella folla solitaria del caos metropolitano – che è alla base delle grandi voci, spesso femminili, del jazz e della musica nera in genere. Inoltre, possiamo accomunare questo cantato, per la disinvoltura con cui se ne va a spasso nelle dissonanze del pentagramma, al Mark Stewart dell’epoca del Pop Group. Così queste improvvisazioni raffinate, ma mai asettiche, assumono una veste ora maggiormente austera (You and Me and Me, Crystal Ball, Cat Club Tree House), ora vagamente fiabesca (Molly, Fly, Cigarette, Kitty, la pianistica Mood Vertigo), oppure elegiaca (Girl, Oh When My Lady Comes). Ben riuscite anche Hunger e Cat Club Tree House, con le loro reminiscenze boppistiche, e il baccanale di El Mar Rojo, che s’invola – complice l’immaginario evocato dalle liriche – verso lidi lontani, lassù, dalle parti di Sun Ra. Non c’è altro da dire, sennonché il trio, a maggio, inizierà un tour europeo. Fatevi furbi e non lasciateveli sfuggire.
[box title=”Micah Gaugh – The Blue Fairy Mermaid Princess (African Tape – 2013)” color=”#5C0820″]
Trackilist:
You and Me and Me | Molly | Girl | Oh When My Lady Comes | Fly | Crystall Ball | Hunger | Cat Club Tree House | El Mar Rojo | Cigarette | Pretty Kitty | Mood Vertigo [/box]