Leggendo qua e là dell’ultima fatica dei chicagoani Cave (da queste parti colpevolmente non li si conosceva, nonostante questo sia il loro terzo album) si nota una certa frettolosità nel liquidare Neverendless, definendolo pressapoco come un sufficiente – niente di più – esercizio di stile strumentale, a metà tra psichedelia e ritmi krauti. A noi di Indie-Eye invece questo lavoro ci ha convinto parecchio, poiché possiede un notevole merito difficilmente riscontrabile nella musica rock che non si avvale di linee vocali: la scorrevolezza. I 5 brani che compongono l’opera vanno giù come una birra ghiacciata bevuta in un’afosa estate alle 6 del pomeriggio (è vero, l’immagine comincia ad essere lontana ormai) e badate bene che non stiamo parlando di pop ipnagogico o di soul music per le masse. Questo è space rock sound con la testa ben persa nei fumi dell’heavy psych: l’attacco di WUJ sembra uscire da In Search Of Space degli Hawkwind, con la chitarra che parte in un assolo inferocito a metà brano manco fossimo a Monterey. L’ossessività kraut rock e i ritmi sostenuti sono una costante, in questo i Cave risultano avere alcune affinità con band come i Trans Am, ma c’è sempre poi una scappatoia melodica, uno scarto a destra o a manca che permette di non impantanarsi troppo, anche grazie all’uso di tastierine e organetti che contribuiscono ad alleggerire il sound; è questo il caso – per fare un esempio – di un brano come On The Rise. Ovvio che stiamo parlando di una musica che per le sue caratteristiche intrinseche alla lunga risulta essere ripetitiva, ma Neverendless, come detto in precedenza, è fatto di 5 canzoni per poco meno di 40 minuti: ci si può immergere senza rischiare la noia. Magari sorseggiando la buona birra di cui sopra.