I Death SS portano jella? Negli anni la storica band capitanata dal carismatico leader Steve Sylvester si è portata dietro questa stupida nomea come un sarcastico fardello su cui all’occorrenza giocarci su, anche per mantenere quell’alone di mistero che da sempre ha circondato la formazione fiorentina. Per il loro inatteso ritorno i nostri ci scrivono pure una canzone, la conclusiva Bad Luck, sorta di sberleffo finale a chi prende troppo sul serio l’iconografia delle metal bands.
Per la loro “resurrezione” i Death SS si affidano, per la realizzazione dell’artwork, al pittore Emanuele Taglietti, il disegnatore dei pruriginosi fumetti dal taglio erotico/horror come Sukia e Zora La Vampira.
Resurrection può definirsi come un riuscito ibrido tra istanze più moderniste e recuperi di un sound “classico” che, è bene ricordarlo per i più giovani, fece la storia dell’Heavy Metal Europeo, non solo italiano. The Song Of Adoration appartiene sicuramente alla seconda istanza, solenne cavalcata dalle atmosfere very Aleister Crowley memore delle ritualizzazioni pagane officiate ai tempi di Black Mass (il secondo album, quello che raffigurava in copertina Sylvester crocefisso). Anche le schitarrate thrash e gli inserti gotici cantati da voci femminili di The Crimson Shrine rimandano all’Heavy Metal del primo periodo, così come l’horror rock di Ogre’s Lullaby; le varie Precognition, Revived, Santa Muerte invece, con i loro inserti elettronici, le batterie leggermente effettate, le ritmiche serrate e le chitarre chugga chugga si rifanno a quell’Industrial Metal/Crossover portato al successo da gente come White Zombie e Marilyn Manson.
In definitiva un album che ci ripresenta una band storica dell’underground italiano in piena forma, pronta tra l’altro ad andare in tour per promuovere il lavoro. Per i fans del Metal un’occasione da non perdere.