Parte l’attacco di Ultramorth e si viene subito trascinati con violenza nel mondo dissestato e schizofrenico dei Morkobot, ormai un’istituzione dell’heavy instrumental italiano. Giunti al quarto album, i nostri continuano imperterriti nell’esplorazione di un sound che vuole essere al contempo psichedelico e caotico, intricato e potente, nervoso e progressivo (diciamo come dei King Crimson imbottiti di amfetamina). Morbo non lascia mai la presa durante tutti i suoi 7 pezzi, molto meno “atmosferico” rispetto agli episodi precedenti, più diretto e frontale. Si vengono così a creare furiose ed articolate contorsioni dai momenti anche intensamente groovy, dando l’impressione generale di una ferocia fredda e controllata. Certo è che risulta essere affascinante il muro di suono creato da questi tre terroristi se si pensa che il tutto è privo dell’ausilio di qualsiasi distorsione chitarristica: sono due bassi distorti, pieni di effetti e compressioni a menare le danze, grattuggianti e ruggenti nei loro parossisimi ritmici, impetuosi e follemente gettati a 100 all’ora verso quella muraglia piena di spigoli che è la batteria, terzo elemento del morbo morkobot. Riferimenti stilistici possono essere le architetture sonore messe in campo dai migliori Voivod, quelli più sperimentali e meno legati ai clichè del metal. Sicuramente è vincente l’idea dei Morkobot di approcciare la musica heavy da un punto di vista al contempo cerebrale e d’impatto. Impossibile oltreché fuorviante citare un brano piuttosto che un altro, dato che questo è un lavoro che possiede una logica solo se preso nella sua interezza: a voi ascoltatori il coraggio e la capacità di uscirne vivi.