L’ipertrofia acceca. Lo sa benissimo chi si è immerso almeno una volta nella ricerca di Martin Jay, con passione e fuori dai confini accademici.
Amor Fou sono invischiati, esattamente come la critica che ne scrive, in un contesto che è quello delle intelligenze collettive (non connettive, ci tengo a sottolinearlo) almeno nel potenziamento di uno stimolo virale che arriva dall’alto e si replica sul basso senza un’apertura creativa che consenta di separarsi dal bombardamento della comunicazione ufficiale.
Si chiama “sutura” ed è ovviamente la neutralizzazione del virus, inteso come un organismo che modificandosi “positivamente” sia in grado di trasformare in un territorio permeabile un manufatto digitale, un ascolto, una qualsiasi deriva della scrittura che finalmente liberi il discorso critico dall’aderenza obbligata all’oggetto, al formato giornalistico, alle pagelline con voto per un lettore che si vuole evidentemente in partenza, già passivo.
Al di là dei vizi culturali e delle ossessioni che diventano citazioni, ascoltando Cento giorni da oggi si rimane soffocati dall’inerzia di un anti-linguaggio, uno stallo non dissimile dalla supponente ingenuità di un Raina che al contrario ha cercato di difendere la sua scrittura recintandola paradossalmente nella persistenza, orgogliosa e decisa, dei riferimenti.
Una debolezza che nell’intervista concessa a Fabio Pozzi dal musicista nato nelle Falklands torna fuori in modo più furbo e conciso nel tentativo di trovare una connessione tra la sintesi del pop e una vocazione documentale : “all’estero, non solo all’interno della canzone d’autore in senso stretto, si è riusciti a conservare questa attitudine documentaristica e anche di riflessione, e in particolare Albarn (n.d.r. Damon Albarn dei Blur) lo ha fatto benissimo in tutti i suoi progetti. Sicuramente ci sentiamo in questo molto vicini a delle realtà musicali non necessariamente italiane, anzi molto spesso straniere, che però mantengono dei forti punti in comune con quella che è stata la canzone d’autore italiana fino a pochi decenni fa, che aveva una forte componente di documentazione“.
Tutto molto bello sulla carta, con la sensazione che al solito sia la nota a margine il collante necessario a Raina per tenere insieme un progetto che si vorrebbe, attraverso la lente di una critica-cronaca orribile: “concettuale”, “immediato”, “popolare, ” “citazionistico”, “giovanilistico”, “para-cool” (forse si intendeva para-culo? le parole sono esche, al di là del fatto che per chi scrive, alcune di queste hanno una connotazione del tutto negativa).
Con l’ermetismo di Franco Battiato (ermetismo nella direzione di Ermete Trismegisto) gli Amor Fou non condividono certo quel percorso alchemico fatto di combinazioni palindrome che il Pop del musicista siciliano costruisce e disintegra da sempre.
Le capacità di Raina sono quelle del collezionista, il frequentatore di un mercato delle pulci, un po’ come Bianconi che non legge Zolla e gli dedica un album dopo esser stato colpito da un titolo di uno dei suoi libri più noti, sbirciato sull’orlo di una bancarella.
Esotismi.