domenica, Dicembre 22, 2024

Crocodiles: Endless Flowers, l’intervista

Quest’anno uno degli album più interessanti, per chi ama le sonorità che traggono ispirazione dalla new wave e dalla psichedelia, è sicuramente Endless Flowers dei Crocodiles. La terza prova della band di San Diego è infatti un ulteriore passo avanti, dopo i già buoni Summer Of Hate e Sleep Forever, nella definizione di un suono personale ma dalle radici ben chiare, posizionate tra la Manchester di inizio anni 80 e New York. Abbiamo incontrato Brandon e Charles per sapere qualcosa di più sull’evoluzione della loro musica, nell’attesa di vederli dal vivo in Italia a fine estate, per uno show che sicuramente non deluderà.

Iniziamo parlando del vostro nuovo album, Endless Flower, che arriva dopo Summer Of Hate e Sleep Forever. Sembra che abbia un titolo più solare rispetto ai precedenti, quasi hippy. Avete un nuovo mood hippy o il titolo ha altri riferimenti, ad esempio I Fiori Del Male di Baudelaire?
B: Più probabile che siano i fiori del male, ho una passione per la poesia francese. Ma può voler dire tutto, basti pensare che ci sono fiori sia ai matrimoni che ai funerali. È un titolo aperto, ogni interpretazione è possibile.

Per lavorare all’album vi siete spostati a Berlino. Cosa vi ha fatto andare via da San Diego?
B: Come molti artisti, abbiamo romanticizzato Berlino, la musica che lì è stata fatta e l’ambiente della città, che è anche oggi perfetto per fare musica. Inoltre la nostra etichetta ha sede proprio lì, quindi anche dal punto di vista finanziario e organizzativo è stato tutto più facile.
C: Avevamo considerato anche le possibilità di registrare a San Diego o a New York, ma non volevamo essere distratti. In quelle città abbiamo le nostre famiglie e i nostri amici e questo avrebbe potuto frenarci nel lavoro in qualche modo.

E se invece aveste la possibilità di scegliere una città in cui registrare solo sulla base della sua storia musicale, quale scegliereste?
B: Probabilmente New York, tra il 1972 e il 1982
C: per me non so, dipende, cambierebbe da quinquennio a quinquennio. Cerco di pensare anche a una città contemporanea, forse Los Angeles ha un buon numero di ottime band e una scena interessante; anche noi forse, venendo da San Diego, risentiamo in qualche modo di quello che accade lì.

Nelle varie recensioni siete assimilati a band che vengono soprattutto dall’Inghilterra, dalla Scozia e anche da New York; voi però siete californiani. Ci sono gruppi del vostro Stato che vi hanno influenzato?
B: certo! Per esempio i Love, i Byrds con la loro psichedelia
C: e direi anche un bel po’ di gruppi punk, a San Diego c’è stata una buona scena
B: anche nel resto della California, i Germs, i Black Flag, gli Screamers e molti altri, fino a folli come Black Randy and The Metrosquad

Torniamo al vostro album e alla grande idea che avete avuto per promuoverlo, cioè l’infomercial teaser che è comparso in rete qualche mese prima dell’uscita. Come vi è venuta questa idea?
C: Abbiamo parlato con l’etichetta e ci hanno detto di fare qualcosa per promuovere l’album, non il video per il singolo, qualcosa di diverso. Potevamo mettere online una canzone o qualche tipo di “riassunto” dell’album, ma ci sembrava qualcosa di scontato e anche di noioso. L’idea che abbiamo avuto per pubblicizzarci è stata quindi di cercare qualcosa che fosse divertente e abbastanza brillante. Abbiamo quindi pensato di fare una parodia della musica intesa come business e al tempo stesso prendere un po’ in giro anche noi stessi. Il tipo di pubblicità di dischi che abbiamo ripreso in Europa non è molto diffusa, ma in America lo è. Siamo cresciuti vedendo spot dei greatest hits di artisti country fatti in quel modo, con elenchi di dischi venduti e di premi raggiunti.

Poi è arrivato anche il video del primo singolo, Sunday. Perché avete scelto quel brano per essere il primo rappresentante dell’album? E come è stato lavorare al video?
B: Scegliamo sempre i singoli assieme alla nostra etichetta, devono dirci che per loro va bene. Di base scegli un pezzo che sia catchy, con cui la gente possa entrare in contatto facilmente.
C: in questo caso abbiamo cercato un pezzo che fosse così e che ricordasse quello che avevamo fatto nei dischi precedenti, aggiungendo però qualcosa di nuovo e che facesse capire la nostra evoluzione, una specie di collegamento tra il nostro passato e ciò che siamo ora. Per quanto riguarda il video, è stato davvero divertente; il regista, Sam Macon, è un nostro amico
B: abbiamo lavorato con lui anche in precedenza, quindi c’è intesa.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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