[ Foto di Chiara Gabellini ]
Primo di Aprile. Un anno è trascorso da quando Dee Dee e compagne ricompaginate passarono da queste parti, seminando un gruzzoletto di fan piuttosto nutrito che torna a riunirsi puntualmente al Traffic, bello da vedere in questa atmosfera vagamente (molto vagamente) East London. Quattro anni fa le Dum Dum Girls (un nome germinato dall’ “idiotico” pezzo di Iggy Pop e dal primo disco dei mitici Vaselines, intervistati qui su indie-eye.it) esordivano con qualche EP ruvido e indiavolato, etichettavano i loro pezzi come fuzz-punk e la stampa confidava nel carisma e nel talento di Dee Dee (al secolo Kristin Gundred) perché il revival garage d’atmosfera 60s potesse, sotto la sua egida, prendere pieghe impreviste e invadere nuovi territori. Dalla coltre rumorosa del primo disco I Will Be (2010) al secondo Only In Dreams (2011) qualcosa si è fatto per cambiar direzione. Una produzione più cristallina, una vena più pop a fianco del racconto, in alcuni testi, di una tragedia personale, la voce di Dee più piena, suadente, forte e chiara. A molti non è bastato, ma la formula DDG funziona e il gruppo rimane l’aggiornamento più cool di Ronettes et similia in circolazione (senza contare che con Ronnie Spector Dee è riuscita persino a collaborare). Ma prima che cali il tramonto e le ragazze ci inebrino col loro (nail) polished punk, ci aspetta un pomeriggio decisamente dum-b dum-b: Kristin ci rimbalza un’intervista prima per questioni di trucco e parrucco, in un secondo momento per un malore che la costringe al riposo a mezzora dall’orario di concerto. Molto rock ‘n roll, certo. Un po’ troppo fuzzy, ragazze mie. Giungono sul palco fiammanti, iconiche: Dee Dee in pole position coi suoi collant neri a strisce verticali, Jules alla chitarra, un po’ Florence Welch primo stampo con la sua boccia di vino rosso ai piedi, Sandy alla batteria con i capelli costantemente al vento in quel suo palpitare istrionico (c’è un ventilatore dietro le quinte, mi dicono) e il nuovo acquisto Malia, due occhi verdi meravigliosi prestati al basso (e alla fotografia http://www.maliajames.com/ nella vita off stage). Il set parte un po’ dimesso con una He Gets Me High di riscaldamento: Dee Dee non sembra effettivamente sulle sue, l’occhio lucido tradisce un po’ di malore (e la levataccia). Già con Catholicked lo show inizia ad ingranare, convincente e coinvolgente nei suoi momenti più punk, un po’ più pasticciato e monocorde quando cavalca le cantilene del loro repertorio più pop. I pezzi scorrono a perdita d’occhio, le ragazze si scambiano qualche bacio, Dee Dee ritrova a metà strada le sue movenze più ammiccanti, la piccola folla esulta pur avendo intuito dall’andazzo che uno show oltre i 60 minuti è pura chimera. Una sentitissima Bedroom Eyes (“I fear that I’ll never sleep again”) si aggiudica la partecipazione più canterina del pubblico, che fa piazza pulita delle setlist scritte a penna non appena le nostre accennano una simbolica pausa pre-encore, che dura giusto il tempo di risucchiare la scolatura dei nostri cocktail. Un peccato non sentire uno dei pezzi nuovi (Lavander Haze), una vera sorpresa la Sight of You dei Pale Saints. Una bella energia e quel po’ di scazzo che alimenta il mistero soddisfano il pubblico e confermano la freschezza del gruppo. Con i ritornelli ancora inchiodati nel cervello lasciamo il locale e i giubbotti di pelle: bye, girls, è primavera, vi perdoniamo tutto.