Il nuovo disco di James Blake viaggiava su binari piuttosto vischiosi sin da prima del suo lancio, dato che i due EP che avevano seguito l’omonimo, clamoroso debutto avevano lasciato per lo meno interdetti, complice anche un duetto con Bon Iver davvero incomprensibile. Ed essere smentiti è, non di rado, assai piacevole, giacché Overgrown restituisce finalmente giustizia al talento del nemmeno venticinquenne musicista britannico. Poche, ma significative le divergenze che separano i due album.
Se il primo lavoro coniugava algidi synth e ritmiche dubstep con il calore della voce di Blake creando un innovativo insieme di straordinaria intensità, il nuovo corso prevede modelli meglio definibili, guardando, seppur sempre “idealizzandoli” e non richiamandoli direttamente, a territori più vicini a new soul e trip hop, come nell’incontro fra Antony e Portishead che avviene in To The Last, quasi in chiusura, a voler quasi riassumere ciò che è avvenuto nella mezz’ora precedente.
Il singolo Retrograde (eccezionale nel suo “planare” letteralmente sulle orecchie dell’ascoltatore) è invece un ottimo esempio della linea rossa fra il vecchio e il nuovo corso: ritmica minimale, tappeti avvolgenti e voce in sincope con cadenze di piano in lontananza.
È però il lavoro sul suono e sulle strutture ad aver subito i maggiori interventi. Da un lato, l’elettronica si ritaglia più ampi spazi con un maggior ventaglio timbrico (la progressione di I Am Sold, lo stacco quasi danzereccio di Voyeur e, in generale, un lavoro di cutting ancor più complesso e meticoloso che in precedenza) e la voce si libera dall’abuso dell’autotuner; dall’altro, Blake abbraccia maggiormente la forma canzone e si dimostra assai solido tanto nella scrittura quanto nella scelta del materiale, numericamente essenziale quello armonico (fin troppo) ma dalle soluzioni pressoché infinite quello melodico.
Non a caso, uno dei punti di forza rimane la sua voce, sempre straordinaria, che spazia da arabeschi quasi mediorientali a strofe quasi declamate, citando quasi letteralmente incisi di black music (il finale di Digital Lion) o azzardando il ritornello da singolo mainstream (la opening track o la già citata Retrograde).
In sintesi, Overgrown è un disco che gronda classe e un’ancora sorprendente maturità stilistica: è forse meno impressionista, più metropolitano e sotterraneo del suo predecessore, ma con l’identico senso di abbandono, appena meno ispirato e sconvolgente, ma non per questo meno ammaliante. Cammei, rilevantissimi, di Brian Eno e RZA.