«Yiddish is dead? Long live yiddish!». Attorno a questo concetto i Jewrhythmics hanno costruito le fondamenta del proprio manifesto artistico, che mette al centro la rinascita dell’antica lingua ebraica attraverso i battiti della disco music italiana. Ovvero, musica adatta per un Bar Mitzvah ma selezionabile pure da un dj qualunque in un qualsiasi club elettronico europeo. Il risultato di questo antico ed enorme mash up è Serving the Chosen, il primo disco del gruppo (se si esclude l’Ep Misirlou).
Il trio russo israeliano si muove attorno all’asse Mosca / Tel Aviv, città in cui le radio passano tutto il giorno melodie techno alternate a sonorità anni ’70 e ’80. Lomberg, la mente del gruppo, ha provato a unire ciò che prima era estraneo, l’ yiddish e i suoni sintetizzati e analogici tipici della disco dei primi anni ottanta. L’idea è audace, le influenze sono chiare e riconoscibili: Eurythmics, Duran Duran, Alphaville e il repertorio classico ebraico come Hava Nagila e Misirlou; i suoni non sono riprodotti in modo digitale ma attraverso drum machine, sintetizzatori analogici e strumenti tradizionali come chitarre, clarinetti e fisarmoniche; la lingua utilizzata è quella parlata negli Schtetl delle piccole comunità dell’Europa dell’est. Il disco, grazie a una sapiente tecnica musicale, si muove con il giusto equilibrio fra passato antico e recente, nessuna delle due componenti prevarica l’altra, creando curiose melodie sferiche, rotonde, lisce e soprattutto originali. Ed è la novità che trasmette ognuna delle nove tracce la grande forza di Serving the chosen, un disco che miscela assieme due generi dichiarati vicini all’estinzione, riportandoli alla luce.
I Jewrhythmics hanno il coraggio di fare un passo verso un terreno inesplorato, provando a mettere in comunicazione due mondi collocati in universi culturali e musicali diametralmente differenti. Il rischio elevato era di fare un pasticcio, una via di mezzo fra il revival e la boiata da balera. Il risultato, per nulla scontato, è però apprezzabile: il disco riesce a essere allo stesso tempo eccentrico, serio, divertente e con spunti molto interessanti. Se sia o meno un nuovo rinascimento della cultura Yiddish filtrata dal Pop è difficile dirlo. Di certo, un gruppo che riesce a portare il Talmud sulla dancefloor merita ammirazione, attenzione e anche un certo, doveroso, quasi mistico, rispetto.
[box title=”Jewrhythmics – Serving the chosen (Essay recordings, 2012)” color=”#5C0820″]
Misirlou | Chiribim | Papirossen | Goldene chassene | Hava nagila | Kinder yoren | 5th Avenue square dance | Vu is dos gessale | Ich hob dech lib [/box]