Che Devonté Hynes ci sapesse fare si era capito già con il suo album d’esordio (“Falling Off The Lavender Bridge”, 2008). All’epoca avevo apprezzato la sua esuberanza, applicata ad una formula pop tutto sommato facile ed immediata, anche quando si divertiva a giocare con orchestrazioni, citazioni retrò, cercando di combinare melodie emo con improbabili divagazioni soul. Possiamo trovare tutte queste caratteristiche anche nel nuovo lavoro, tuttavia ciò che oggi sembra mancare è quell’(auto)ironia che rendeva tanta grandeur tutto sommato… sostenibile. Insomma, ascoltando i quindici (15!) brani di “Life is Sweet…” si ha l’impressione che il ragazzo si prenda maledettamente sul serio e, di conseguenza, assumono tutt’altro sapore anche i suoi eccessi. Clavicembali, sezioni di archi e fiati, cori che fanno capolino a più riprese magari solo per fare da contrappunto a melodie portanti spesso prevedibili… rendono l’ascolto estremamente pesante e sono sufficienti a neutralizzare le qualità comunque presenti e innegabili. Al di là di qualche buon momento, nel complesso è un album scioccamente barocco e stucchevole.