lunedì, Dicembre 23, 2024

L’uomo che cadde sulla terra: David Bowie attraverso 10 album # 4

E’ disponibile dal 3 dicembre la distribuzione europea del David Bowie Box pubblicato da sony; cofanetto che continene gli ultimi cinque album di Bowie, ovvero Outside, Earthling, Hours Heaten e Reality presentati in edizione speciale doppio cd. Insieme ad ogni album vengono pubblicati tutti i remix, le b-sides contenute nei singoli relativi al periodo di pubblicazione. Abbiamo sfruttato questa occasione per chiedere a Federico Fragasso di tornare indietro e (s)mitizzare dieci album mitici del duca bianco in 5 articoli , questa è la quarta parte, lo storico di questo speciale si trova da questa parte

low.jpgA Parigi verranno incise anche alcune delle tracce che andranno a costituire Low (1977), capolavoro assoluto e primo tassello della celebre trilogia berlinese. L’esito finale dell’album sarà fortemente influenzato dalla figura del “non-musicista” Brian Eno, in trasferta nella ex-capitale tedesca per incidere Before and After Science. Sebbene il suo apporto strumentale a Low si riduca a qualche trama di sintetizzatore e al trattamento elettronico delle chitarre (più cospicuo sarà invece il contributo fornito a “Heroes” e Lodger) le teorie di Eno rivestiranno un’ importanza fondamentale nell’ approccio alle composizioni. L’utilizzo delle sue “Strategie Oblique” (carte contenenti istruzioni anticonvenzionali – quali “enfatizza gli errori” – da estrarsi casualmente ogniqualvolta ci si trovi in dubbio riguardo lo sviluppo di un pezzo) conferirà all’album quel carattere aleatorio che ne accentua la natura sperimentale.
Oltre ad Eno accompagnano Bowie i già rodati Alomar, Murray e Davis, mentre Ricky Gardiner è il chitarrista ospite.
La prima cosa che colpisce all’ascolto di Low è il suono totalmente inedito rispetto alla precedente produzione dell’artista. Grazie agli ultimi ritrovati della tecnologia le batterie vengono trattate fino al punto in cui i tamburi suonano distorti ed i piatti si riducono a fruscii elettronici. Le voci sono spesso filtrate mentre i sintetizzatori non costituiscono un semplice abbellimento ma le fondamenta stesse delle composizioni.
Il nuovo corso è evidente fin dall’introduttiva Speed of Life, Electropop strumentale che non raggiunge i tre minuti. La prima facciata del disco è in effetti caratterizzata da composizioni estremamente brevi, i cui testi vengono improvvisati direttamente in sala d’incisione secondo la tecnica del Cut-Up, in accordo con l’urgenza creativa di Bowie e con la volontà di fissare su nastro il materiale prodotto senza troppa premeditazione. Breaking Glass, Funk robotico che contrappone al furioso groove della sezione ritmica un incisivo fraseggio di chitarra, abbozza immagini di vita domestica turbolenta (“Bambina, ho di nuovo rotto i vetri nella tua stanza”…”Sei una persona meravigliosa ma hai dei problemi/non ti toccherei mai”). What In The World, Discomusic pulsante di vibrazioni analogiche, è intrisa di isolamento, insicurezza e rinuncia: “rintanato nella propria stanza” David avverte “qualcosa di malinconico” dentro di sé domandarsi“Che cosa puoi mai farci?”. Stesse tematiche suggerisce il testo di Sound And Vision (“Blu elettrico/è il colore della stanza in cui vivrò/…abbandonato alla mia solitudine”), in cui eterei tappeti di sintetizzatore si appoggiano a una ritmica marziale. Always Crashing In The Same Car, splendida ballata elettronica, vede in primo piano la chitarra di Gardiner trattata da Eno. Il clima di decadenza caratteristico del soggiorno berlinese è ben evidenziato dalla vicenda cui si fa riferimento: David, ubriaco, sfreccia con la sua Mercedes nel parcheggio di un hotel, continuando a schiantarsi contro la stessa automobile nel tentativo di parcheggiare. Be My Wife, epico Funk-Rock squarciato da una chitarra lamentosa, è uno degli apici del disco. Le poche frasi che compongono il testo suonano come un disperato grido d’aiuto: “a volte ti senti così solo/a volte non arrivi da nessuna parte/ho vissuto in tutto il mondo/ho lasciato ogni luogo/ti prego sii mia/condividi con me la vita/resta con me/sii mia moglie”. In quello stesso periodo il matrimonio dell’artista con l’indossatrice americana Angela Barnett era allo sbando e il loro divorzio si sarebbe consumato qualche anni dopo. Chiude la prima facciata un altro strumentale il cui titolo, A New Career In A New Town, sembra una dichiarazione d’intenti. Se fin qui l’album si era dimostrato innovativo lo era stato soprattutto nella scelta dei suoni, mantenendo un approccio tutto sommato ancora pop alla struttura delle canzoni. La seconda facciata di Low è invece la vera pietra dello scandalo, composta com’è da quattro dilatati brani strumentali le cui fonti d’ispirazione sembrano essere i pionieri della Musica Cosmica Tangerine Dream e Popol Vuh piuttosto che Kraftewerk o Neu!. L’influenza di Eno è evidente, gli eterei tappeti sonori tracciati dai sintetizzatori richiamano alla mente alcuni esperimenti del suo Another Green World, anticipando peraltro la Ambient da lui teorizzata su lavori come Music For Films e Music For Airports.
Se consideriamo che ognuna di queste composizioni può essere messa in relazione con un luogo ben preciso dello spazio fisico la definizione di musica per ambienti non è mai stata tanto azzeccata. Nella funerea Warszawa , ispirata da una visita alla capitale polacca, le voci modulano sillabe senza significato emulando i canti tipici della tradizione balcanica. La desolata Art Decade, caratterizzata da una splendida linea di violoncello, è la reazione dell’artista a Berlino Ovest, città tagliata fuori dal proprio contesto. In Weeping Wall, incentrata sul Muro e sulla vergogna da esso rappresentata, gli Xilofoni e i Vibrafoni imitano il timbro di certi strumenti africani, fornendo gli spunti etnici poi sviluppati in Lodger. Subterraneans, attraversata da uno spettrale sassofono Jazz, riguarda invece i cittadini rimasti intrappolati a Berlino Est dopo la spartizione della città fra le due superpotenze.
In definitiva, possiamo affermare che con questo album (e con la trilogia tutta) Bowie abbia raggiunto l’apice delle sue facoltà creative, mostrando al contempo la strada da seguire al rock del decennio successivo. Gran Parte della New Wave non è ipotizzabile senza Low, si pensi a formazioni come Wire, Joy Division, Japan, Devo, Human League, che alle algide atmosfere del disco devono praticamente tutto.

heroes.jpg“Heroes” (1977), che di Low può considerarsi il gemello, riprende fondamentalmente le intuizioni del predecessore e le rielabora in maniera più meditata. Si avverte un graduale riavvicinamento alla forma canzone, sia la durata media dei brani che le liriche si allungano notevolmente. Per il resto la struttura dell’album rimane esattamente la stessa: i pezzi “convenzionali” sulla prima facciata, le composizioni strumentali sulla seconda. Questa volta l’ospite alla chitarra solista è nientemeno che Robert Fripp, leader dei pirotecnici King Crimson. Il team di musicisti che si viene così a creare, nel quale la “mente” è rappresentata dall’estro avanguardista tipicamente europeo di Bowie, Eno e Fripp, mentre il “braccio” è incarnato dalla solidità R’n’B degli afroamericani Alomar, Davis e Murray, darà vita ad uno degli album più rappresentativi della propria epoca. Sebbene “Heroes” debba tutto a Low in termini di innovazione assumerà nel tempo lo status di “classico” e sarà ricordato come l’album per eccellenza della trilogia berlinese.
Poche note di pianoforte abbozzano un’ introduzione, mentre i gorgheggi di Bowie spianano la strada al Funk industriale di Beauty and the Beast, orgia di rumori elettronici e voci distorte sorretta da una ritmica schiacciasassi e una potente linea di synt. Su simili coordinate sonore si muove Joe The Lion, tributo all’artista americano Chris Barber e alle sue performance automutilatorie (“ti dirò chi sei se mi inchiodi alla mia automobile”), costruita intorno ad una traballante architettura di chitarra. Nella title-track le atmosfere si fanno rarefatte: Eno replica più volte una delicata melodia ai sintetizzatori, mentre Fripp sfoggia un riff epico che ben si adatta alla dimensione “eroica” evocata della canzone. Bowie, col suo tipico istrionismo vocale, ci trasporta nella vita di due amanti che si incontrano segretamente all’ombra del muro, “mentre i fucili sparano sopra le loro teste”. Il loro atto di eroismo consiste proprio nell’amarsi “nonostante niente li possa tenere insieme”, sottolineando col proprio gesto l’assurdità della divisione in blocchi e della Cortina di Ferro, al di là della quale “ rimane la vergogna”.
Sinuosa ed elegante, Sons of the Silent Age è introdotta da un sassofono orientaleggiante per poi proseguire fra piatti fruscianti e liquidi tappeti elettronici; il ritornello è uno dei momenti più Soul dell’album. Ben più rigide le atmosfere di Blackout, alla cui ritmica funky si sovrappongono i contorti arabeschi di Fripp. Il blaterare sconclusionato di Bowie a proposito del suo “oscuramento” potrebbe riferirsi al documentato collasso avvenuto in studio durante le registrazioni di Low. Numerosi i riferimenti all’alcol, sostanza cui sembra che il nostro si sia attaccato per liberarsi dalla cocaina. Se le liriche di Low erano intrise di angoscia esistenziale e illustravano il momento di massima sfiducia attraversato dall’artista (Low significa per l’appunto “depresso”) quelle di “Heroes” sembrano far luce su una rinascita interiore, seppur operata secondo una terapia sui generis.
V-2 Schneider è un esplicito tributo a Florian Schneider dei Kraftwerk; l’influenza del gruppo sulla genesi degli album berlinesi viene scherzosamente paragonata da Bowie all’impatto di un razzo V-2.
Sense of Doubt è indubbiamente la composizione più angosciosa mai realizzata dal musicista inglese, un ossessivo botta e risposta fra poche note di pianoforte e una lugubre linea di sintetizzatore attraversata da fruscii e voci di sottofondo. Moss Garden sovrappone a eterei tappeti ambientali i discreti interventi del Koto (strumento tradizionale giapponese) suonato da Bowie, anticipando ancora una volta la World Music di Lodger. In Neukoln, quartiere della Berlino Ovest abitato principalmente da immigrati turchi, David affida al sassofono la voce solista, ricalcando con andamento stentato le scale modali tipiche della musica araba. In chiusura The Secret Life of Arabia, brano piuttosto convenzionale dal sontuoso arrangiamento Funk-Soul, sembra quasi fuori posto.

Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco

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