Che il talento dei Parenthetical Girls fosse di per sé evidente, ne aveva già ampiamente dato prova il riuscitissimo Entanglements nel 2008. Già allora, infatti, il femmineo Zac Pennington era riuscito ad eliminare, con sufficiente manleva, quella idiosincrasia che l’indie-rock contrappone spesso al folk procace, mescolandovi tra l’altro, ora le strane architetture dell’epos-wave, ancora un certo pop spurio di facile presa.
Sulla scia di quell’amena, quanto caparbia, produzione, le “ragazze parentetiche” danno così alla luce The Privilege, quarto disco “abridged” della serie di 5 mini ep pubblicati a far data dal 2010, ben ordinato in dodici tracce mature, secondo un’accattivante strategia d’ascolto di nicchia che, se non altro, ha il merito di sembrare novella.
Un lavoro che si presenta come una summa stilistica della band, con l’ulteriore pregio di proporre una cernita inviolata da quell’ossidazione che potrebbe corrompere dei pezzi rimasti a macerare tre lunghi anni.
E se l’iniziale Evelyn McHale sembri riproporre Paul Anka secondo le coordinate sbarazzine dei The Island, non bisogna attendere molto per immaginare gli ammennicoli acustici e l’elettronica sagace dei Dirty Projectors (The Common Touch, For All The Final Girls, Sympathy For Spastics) o le orchestrazioni epiche degli Arcade Fire (Weaknesses, On Death & Endearment), ancora adagiate secondo la personale rilettura di Pennington che, al netto di inservibili frivolezze e intonse velleità intelletualoidi, è sempre così incantevole. Teatrali, invece, e più votate verso la magniloquenza, sono poi le tracce restanti. Un lungo (ma molto lungo) ponte ideale che potrebbe unire il synthpop facilone e danzereccio dei Pet Shop Boys a quello più vigoroso e convincente dei Depeche Mode (The Pornographer, The Privilege, Careful Who You Dance With, Young Throats) fino addirittura a lambire, con la scaltra Curtains, il mellifluo melodrammatico dei Roxette di Take my breathe away. Ammirevole citazionismo di quegli anni ’80 che segnarono per il pop un epoca assai difficile da ripetere. Un affondo con la stessa forza deflagrante di un amore che nasce. L’amore, sincero, verso il prestigio di dischi come questo. Davvero un “privilegio”.