L’ultimo Gabriel sembra piacere a quel campionario critico a digiuno degli ultimi dieci anni di nuova hollywood; non è possibile biasimarli se si son tenuti a distanza dai compositori seriali, ma gli archi arrangiati da John Metcalfe immergono la voce di un interprete ancora straordinario in un’imperdonabile melma che appiattisce e neutralizza un tentativo di riscrittura che avrebbe potuto essere per certi versi interessante. L’ex Durutti Column e la produzione di Bob Ezrin non lavorano certo per sottrazione, mimando la pompa e la circostanza Elgariana in una versione degna di un qualsiasi emulo di James Horner. Ci dispiace davvero ma Scratch My Back è un album noiosissimo che prende vita solamente nella bellissima versione di Street Spirit, trainata da un pneuma quasi à la Wyatt. Nel 1973 Harry Nilsson incideva la sua raccolta di cover intitolata A Little Touch Of Schmilsson In The Night, uno degli album più bistrattati della sua carriera, probabilmente per una diffusa avversione nei confronti delle strutture orchestrali di maniera che si fondono con l’estetica pop, eppure in quel caso la drammaticità quasi grottesca di Nilsson si trovava ad uno strano crocevia con l’arte di Gordon Jenkins, arrangiatore di lusso nell’era Capitol records 57-60, immergendo una manciata di classici del ventesimo secolo in uno spleen mai al di là della cortina retorica. L’esatto contrario di Scratch My Back, buono per titoli di coda.