I Portugal. The Man sono una delle band più interessanti degli anni 2000. A dispetto del nome, il loro continente di provenienza non è l’Europa, bensì l’America, dove risiedono nella fredda ma pur sempre incantevole Alaska. Dal 2006 ad ora, hanno pubblicato sette album e cinque EP, dimostrando di essere una band prolifica, unendo quindi alla qualità musicale, una produzione – in termini di numeri – di tutto rispetto. Partendo dal recente passaggio alla major Atlantic, ci si potrebbe aspettare un cambio di suono, verso territori più sicuri, invece la formula è rimasta fortunatamente la stessa. Ci sono i Beatles, David Bowie (con gli archi e i cori che ricordano quelli dei tempi di Life On Mars) ed una piacevole ossessione per tutto ciò che può essere (realmente) psichedelico. In The Mountain In The Cloud è un classico della letteratura musicale di inizio anni ’70, riproposto in chiave moderna, e dove per moderno s’intende saturo di attualità, sia nei suoni che nelle liriche. Ascoltando le tracce del disco sembra infatti di imbattersi in una sorta di esperimento dissacratorio – ben riuscito – che vede il Duca Bianco spogliato di tutti gli orpelli che lo hanno sempre contraddistinto, per poi essere (ri)confezionato con un occhio di riguardo all’attuale scena musicale alternativa mondiale, fatta di ritornelli orecchiabili e testi non necessariamente impegnativi. So American, ad esempio, comincia un po’ à la Radiohead per raddrizzarsi subito sul binario del rock anni ’70, come Floating (Time Isn’t Working My Side) d’altronde, una midtempo track segnata da chitarre aeree e percussioni impazzite. Got It All (This Can’t Be Living Now) invece, è sulla falsa riga della traccia di apertura ma con una vagonata di carisma in più: dai giochi vocali all’intreccio con la parte strumentale, conquista con la sua epicità che però non sfocia mai in un crescendo. Senseless è il continuum della traccia precedente su distorsioni sonore ed un tappeto decisamente minimale, anche se il breve assolo di chitarra elettrica è la vera attrazione. Head Is A Flame (Cool With It) chiama in causa il Bowie di Ashes To Ashes, rivendicando qualche piccolo prestito qua e là nella traccia. Il pezzo però funziona eccome. You Carried Us (Share With Me The Sun) è l’altra faccia dell’essenza psichedelica, quella del trip mentale (indotto), affine a gruppi come i più recenti MGMT. Everything You See (Kids Count Hallelujahs) è una delle tracce più belle, più intense e piene di pathos, dove l’elettronica è vista solo come un maschera in funzione del niente: una versione acustica ne garantirebbe lo stesso fascino. Poi c’è Sleep Forever, la vera sorpresa del disco, singolo promozionale uscito con un video degno di nota della durata di 13 minuti (questa la lunghezza del brano) e in cui i nostri tributano la loro terra d’origine, con filmati dei paesaggi freddi e gelati che quasi cozzano con i loro suoni caldi e accoglienti, capaci di sciogliere anche il ghiaccio più duro del “grande paese” chiamato Alaska.