Ascoltare un disco dream-pop è un po’ come scartare un cioccolatino: stimola l’ossitocina favorendo i rapporti interpersonali, fa bene allo spirito e cambia le giornate. In più c’è che, in questa particolare inclinazione lo-fi che un, ancora irrisolto, ossimoro ha trasformato in indie-pop, non t’aspetti mai che al posto del cacao ci sia la glassa, sicchè, sia esso quello fresco e sbarazzino di un’afosa giornata estiva o quello più magnetico e riflessivo più adatto al freddo inverno, il suo ufficio è assolto, quasi sempre, da melodie seducenti ed atmosfere sognanti.
Lo sanno bene i Seapony giunti con Falling al loro secondo album, questa volta con licenza Subpop, dopo il più che soddisfacente debutto del 2011, Go with me su Hardly-Art.
La sapidità dei loro paesaggi liofilizzati tra simpatetici atteggiamenti surf e stuzzicanti frivolezze dreamy è ancora assai evidente in Outside, Tell me so e What you wanted, così morbosamente e golosamente Beach Fossils, a cui seguono poi citazioni, più o meno esplicite, di Guided by voice, Real Estate (Sunlight) e Radio Dept (Nothing left, Be alone), con quel meticoloso cicalare delle chitarre e gli echi fugaci che s’insinuano tigliosi nell’impasto ritmico fifties. No one will e Prove to me si fanno anche più rockeggianti, quasi a voler essere un dignitoso tributo alla comunque inarrivabile iridescenza pop degli Islands o ancora al dignitario art-rock degli Shins ma, di certo, ancora ben al di qua della siepe.
Così il resto di un album che spiega chiaramente quanto questo trio di Seattle ci tenga a dire la sua in un universo in continua espansione come quello indie-pop, sebbene più volte si resti sospesi tra il dire “ebbastaaaaa!” ed il volerne ancora, magari perché spinti dalla curiosità o dall’intransigenza enciclopedica ma, comunque, sempre di buon umore che in questo periodo, credo conti e non poco!