Nonostante i tempi di crisi, recessione e disagio sociale, o forse proprio in virtù di questi, il passare le feste in casa o quantomeno senza salassarsi impone quasi necessariamente l’ascolto di buona musica, magari (e di sicuro l’industria mirava a questo) ispirata al periodo festaiolo. Della serie, almeno l’acquisto di un cd ce lo si potrà permettere. D’altro canto i classici natalizi sono sempre stati fonte d’ispirazione, ma più volgarmente anche di facili introiti, per le popstar di ogni epoca e due icone neopop come Zooey Deschanel e M. Ward non si sono lasciati sfuggire l’occasione, lanciando la loro compilation di classici natalizi addirittura nei primi di ottobre, forse nel malcelato timore che a Natale si sarebbe arrivati con troppo poco hype attorno.
Ad ogni modo, in una mezzoretta pulita pulita, lei e lui cesellano (ché dire coverizzare o rifare, invero, sarebbe troppo) dodici quadretti di altrettanti classici che il pubblico americano ha ormai nel DNA da generazioni e che il pubblico nostrano ha sicuramente percepito nella colonna sonora di qualche commedia hollywoodiana neoromantica.
Detto che già con un materiale così riuscire originali era ben arduo, il risultato è, però, piuttosto al di sotto delle aspettative. Se la Deschanel alla fine non canta neanche male pur con l’estensione vocale un po’ limitata (e con una regia ossessionata dal terrore di sacrificarne le doti rispetto al resto) e il chitarrismo di Ward (bravo, ma con un ostentato abuso di reverbero fenderiano) si inventa quel che può, a livello armonico, per conferire interesse a pezzi strasentiti, il risultato è, a seconda dei casi, freddo o decisamente stucchevole.
Per fortuna siamo lontani dall’orrendo gigionismo di un Bublè o simili, ma il bamboleggiamento, pur insito nel personaggio (anzi, nei personaggi interpretati sullo schermo) e nell’immagine della Deschanel, è sempre troppo dietro l’angolo. Gli arrangiamenti, poi, quando giocano la carta del minimale, risultano sin troppo scarni (e non basta piazzare qua e là l’ukulele per risultare lo-fi o “alternativi”, come in Silver Bells) e, quando puntano sui contrappunti vocali, sbracano inesorabilmente nell’enfatico tentativo di apparire paradisiaci (Have Yourself A Merry Little Christmas, persino la versione naif piano e voce che Chris Martin incise qualche anno fa risulta più godibile).
In aggiunta, risultano smorti i pochi episodi in cui la ritmica ha un ruolo di rilievo appena evidente (ma al massimo ci si spinge in territori swing molto pacati, come in Christmas Wish) e, alla fine dei conti, di poesia o magia dell’atmosfera natalizia sbandierata nelle intenzioni, neanche l’ombra.
Per non dire poi di scelte stilistiche prettamente sbagliate, fra cui la countreggiante Sleigh Ride, rivisitata con scarso gusto e con passaggi di arrangiamento gettati via, e il classicone Rockin’ Around The Christmas Tree (ricordate Mamma ho perso l’aereo?), l’unico brano che poteva far sperare in un po’ di verve, di una leziosità debordante che non può non far rimpiangere l’ironia di Brenda Lee, che ne interpretò la versione più famosa. Da romantici fanatici del vintage quali sono Zooey e Ward, in effetti, ci si poteva aspettare un prodotto del genere, ma la personalità che pure avevano rivelato nei due album originali qui annega in un desiderio di voler sedurre ad ogni costo, relegando in un angolo le qualità, chi di vocalist chi di musicista, che pure i due indubbiamente possiedono, col risultato che il disco risulta persino troppo lungo, lasciando in bocca un sapore dolciastro tipico di un panettone infarcito con troppi canditi, da annegare prontamente con un buon spumante (secco, ovviamente).
Qualche chilo di melassa in meno non avrebbe certo fatto male. Ma è pur vero che oltreoceano operazioni del genere riescono comunque con più classe che in Italia, dove forse il target medio del pubblico nostrano non attende altro che un’esibizione di Francesco Renga che si cimenta con Astro del ciel.