Dell’importanza di avere del gusto, del buon gusto, questo potrebbe essere il sottotitolo ideale per Moves. Portato alle stampe dalla voce di Steven Adams, già membro dei The Broken Family Band, Moves è il secondo LP dell’artista britannico, successivo di un anno rispetto Everybody Friends Now. Si parlava di buon gusto, e in effetti Singing Adams non ne è affatto sprovvisto; dieci brani che procedono al trotto, ritmati sì, ma non eccessivamente, orecchiabili ma freschi e lontani dalla lunga ombra della fascinazione beatlesiana.
Anticipato dal singolo Dead End, Moves offre una dimostrazione precisa di come si possa produrre un buon album puntando sulla ristrettezza del minutaggio. Poco più di mezz’ora per abbandonarsi mollemente all’interno della atmosfere invernali e fumanti che Singing Adams delinea. Con Moves, Stevan Adams compie una sorta di ritorno alle origini, scegliendo come argomento la nativa Londra, tratteggiata secondo l’occhio nostalgico e forse un po’ di parte, del figliol prodigo. È così che nascono pezzi come London Trocadero, arricchito dalla sovrapposizione corale di più voci, o l’ululante You Drew A Line. Dall’attacco country di Good Luck e Theme from “Moves” alla svolta elettrica di Building A Wall, l’album non si discosta molto dal proprio tracciato, ma procede lungo i ritmi circolari di ballate casalinghe, senza azzardare né dal punto di vista strumentale né da quello canoro. Forse è questo perbenismo melodico a rappresentare il punto debole dell’album, una sorta di modestia che contiene tutte le canzoni. Nonostante ciò, Singing Adams risulta un’artista elegante e sobrio e, fortunatamente, meno carezzevole e piagnucoloso di Belle and Sebastian, a cui è stato paragonato. Sperando che si riveli qualcosa di più rispetto ad un classico album di stagione, converrà rivedere la proiezione di Moves al prossimo solstizio.