Allora, sgombriamo subito il campo dagli equivoci: The Babies (side project ma neanche tanto di Kevin Morby dei Woods e Cassie Ramone delle Vivian Girls) non è roba da hipster. Oddio, è vero ormai che l’hipsterismo isterico sta inglobando un po’ tutto, espandendosi come un tignoso blob negli interstizi di ogni corrente musicale: prova ne è la presenza hipsterica ai concerti dei Black Lips o di Ty Segall, eroi del garage punk contemporaneo ormai adottati da tutti ma ancora lungi – per fortuna – dall’essere la “cup of tea” dei nostri odiati hipsters. Ora si sta tentando di far passare gli autori di questo Our House On The Hill (secondo disco per loro) come dei portabandiera dell’hipsterismo acuto. Beh, siamo fuori strada. Sì è vero, l’etichetta (Woodsist) è fighetta ed anche un tantino snob, ma la roba che suonano i due no. Per inciso: garage pop gustoso e svelto che fornica con il college rock parecchio in voga negli anni ’90, tanto che ad ascoltare il trittico iniziale Alligator, Slow Walkin e Mess Me Around sembra di stare dentro ad un disco dei Lemonheads. Il disco fila che è un amore sulle coordinate di un rock’n’roll immediato dalle melodie cristalline (Baby), giocando anche con il country pop (See The Country). Quando si dimentica di correre ci si annoia un po’, come nell’acustica ma banalotta Mean, ma i Babies, con il loro mistone di Ramones, Superchunk, Replacements e Sleater Kinney ci regalano uno dei dischi più frizzanti e godibili di questo fine 2012. Alla faccia dei calzoni stretti, dei baffetti da sparviero e dei cappelli improbabili.