“Questo non è un disco”, per dirla con le parole di René Magritte, infatti, si tratta del testamento vocale di un gruppo, che a detta dei suoi componenti, non avrebbe altro da dire (o almeno, questo è quello che si deduce delle loro parole). I gallesi The Loves mettono così la parola fine ad un rapporto decennale, “celebrando” questa separazione con un album, al cui ascolto non può che seguire un perplesso “perché?”. Cominciamo col dire che la pubblicazione del disco-testamento è avvenuta in concomitanza con quelli che saranno ricordati come gli ultimi show della band: riuscire a presentarsi sul palco consci di non essere più un gruppo è comunque un buon segno, una garanzia di rottura pacifica che non ha certamente influito negativamente sulla realizzazione del disco. …Love You è il lavoro eccellente di un gruppo di musicisti altrettanto validi che incontrano personalità esemplari della storia della musica (Doug Yule dei Velvet Underground), per dar vita ad una raccolta di pezzi che differiscono per genere ma non per qualità. Si parte col primo singolo December Boy, un episodio decisamente “merseybeat”, nella sua versione più adolescenziale, accompagnato da un video emblematico nello svolgersi della trama: un ragazzo derubato del suo cuore, vaga di casa in casa alla ricerca di quest’ultimo, quasi fosse un cimelio di inestimabile valore, per poi riacquistarlo per qualche spicciolo, ridimensionando così ogni aspettativa sul proprio potere sentimentale. E a proposito di Mersey Sound, non possiamo non tirare in ballo i pionieri del genere, The Beatles, fortemente percepibili nella linea melodica dell’intero lavoro. La giocosa Bubblegum apre le danze con rimandi al gruppo di Liverpool ma con un twist decisamente garage e cori surf posticci: più l’ascolto si fa attento, più si allontana da John Lennon & soci per avvicinarsi a gruppi come gli statunitensi The Fleshtones nei loro momenti più mansueti. In effetti, …Love You contribuisce a ridar vita – attraverso un revival informato – a discorsi musicali non propriamente attuali, dal rockabilly al surf rock (quello più organ-ico), il tutto con una precisione tale da far credere all’ascoltatore di avere fra le mani un vero disco nato fra gli anni ’60 e ’70. Dalla scanzonata I Lost My Doll To Rock & Roll ai versi quasi “rappati” della clashiana O! My Gawd, l’ultimo saluto dei The Loves vola a livelli altissimi. Poi, c’è la collaborazione con Doug Yule, capace di portare indietro nel tempo il gruppo gallese – sempre negli anni ’60 – attraverso un viaggio allucinato in cui l’ex Velvet Underground, per fare da Cicerone, veste i panni di Gesù, fornendo le sue concise indicazioni via telefono. Se addio deve essere, che addio sia. A volte è meglio non ripetersi e chiudere in bellezza una carriera con le parole giuste, piuttosto che sfornare album tutti uguali per il gusto di rimanere in circolazione. Quello che lascia perplessi è invece il modus operandi della band gallese, questa sincerità musicale e umana, questo rispetto nei confronti dell’ascoltatore che li ha portati ad anticipare la dichiarazione di scioglimento, rispetto alla pubblicazione del disco: “the show must go on”, come si suol dire, peccato che in questo caso lo show abbia una data di scadenza ufficiale.