venerdì, Novembre 22, 2024

The Might Be Giants – Nanobots (Megaforce Records – 2013)

È una lunghissima parata quella dei They Might Be Giants. Venticinque canzoni per il sedicesimo album del duo americano John & John, alias John Linnell e John Flansburgh. Galeotto fu il giornale e chi lo editò, visto che fu l’aver prestato la penna alla medesima testata ad aver unito i John della situazione. Correvano gli anni ’70 e i due protagonisti della storia erano poco più che ventenni e da allora non hanno smesso di suonare come se avessero alle spalle un’intera filarmonica, impiegando quante più tecniche possibili per ingannare sul numero, reale, di musicisti all’opera; campionamenti, sintetizzatori, drum machine e quant’altro fosse utile per far sembrare gli esili adolescenti dei veri e propri giganti. L’idillio a due ha funzionato fino al 2000, quando alla line up si aggiungono Dan Miller alla chitarra, Danny Weinkauf al basso e Marty Beller alla batteria. Nanobots rappresenta l’ultimo prodotto della formazione così descritta, un album fluido nonostante la mastodontica quantità di tracce in esso contenuta. Picareschi e stravaganti TMBG si distinguono per gli attacchi immediati e che entrano da subito nel vivo della questione (You’re On Fire, Call You Mom, Destroy The Past), per la serie di suite veloci, allegre e in qualche modo collegate fra loro. Si tratta di musica farsesca e teatrale che potrebbe con facilità condividere i terreni delle sagre di paese e correggere, a suon di fisarmonica e sassofono, il baccano del vocio popolare. Filastrocche in musica come nel caso di Nanobots, swing alla happy days (Circular Karate Chop) e brevissimi appunti volanti trasposti in musica, sbirciate di ritornelli tutte al di sotto dei dieci secondi (Have Mind, There). L’album è un intruglio omogeneo di idee, a volte portate a termine altre volte appena abbozzate. Uno stile che rivendica la bellezza della disorganizzazione e del recupero a cuor sereno dell’ispirazione momentanea e fresca. Dal collage di appunti sparsi, di note, registrazioni e jam session, nasce Nanobots la cui composizione anarchica non poteva non trovare rappresentazione nell’immagine dell’artwork, un patchwork di immagini dell’artista Sam Weber.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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