I nuovi Tindersticks sono irrimediabilmente ancorati al loro passato; in Italia ci sono almeno tre band che gli fanno il verso senza riconoscerne onestamente i crediti, e lo sappiamo bene tutti quanto sia difficile e probabilmente inutile stabilire delle priorità nella memoria musicale popolare e collettiva; ma non è certo con Falling Down a Mountain che si rende un buon servizio alla breve storia della band di Stuart Staples, concentrata nel tempo di due album fulminanti, una manciata di ep e qualche singolo di altissimo livello. Tutto quello che avviene dopo il 1996 fino a quest’ultimo lavoro nella discografia dei nostri risente di quel riverbero lontano; il taste of honey Barrryano del secondo capitolo, la furia intimista del primo album, il disequilibrio etilico della voce di Staples, i duetti ad effetto (mary margaret o’hara) sono diventati ingredienti sicuri e statici, quasi per paura di essere diversi da se stessi o di non riuscire ad andare oltre un’intuizione cosi forte, che tra melodramma, pop inglese e una propensione alla dilatazione cinematica di tutti questi argini, non è stata in grado di ripetersi o semplicemente di riaccendersi da zero. Non è un caso che l’unica traccia capace di smuovere quella commozione che i Tindersticks stessi in alcune vecchie interviste definivano come estrema, quasi grottesca, sia quella “Piano Music” che chiude l’intero album; brano che allude a tutto il lavoro della band di Nottingham per il cinema di Claire Denis, grazie alla confezione strumentale, che ancora pompa sangue dai tempi di Nenette e Bonì, fino ai suoni per i bellissimi 35 Shots of Rhums e White Material.