Dischi come questo sono una vera e propria boccata di aria fresca, una riserva di buonumore da tenere sempre a portata di mano (e di orecchio), una specie di Pocket Coffee musicale, con il gusto del rhythm’n’blues e la carica del rock’n’roll.
Barrence Whitfield torna con i suoi Savages a distanza di quindici anni dall’ultimo disco assieme, quel Ritual Of The Savages che nel 1995 sembrò essere l’ultimo capitolo della storia della band, dopo più di un decennio di ottima musica. Nel frattempo Barrence si è esibito con i Movers, oscura band rockabilly del New Hampshire, e ha portato avanti in maniera discontinua una carriera solista, partecipando, tra le altre cose, alla colonna sonora di Honeydripper di John Sayles, mentre gli altri membri della band lavoravano con vari gruppi, come ad esempio il chitarrista Peter Greenberg negli ottimi Lyres. Il tempo e le diverse esperienze non sembrano però avere influito molto sulla forza dei Savages, che dimostrano lungo i dodici brani dell’album di essere in grado di scrivere brani più maturi e diversificati e di suonarli con lo stesso entusiasmo degli esordi, creando così del grandissimo rhythm’n’blues, nel pieno rispetto della tradizione e delle lezioni dei maestri.
A dominare praticamente ogni canzone è la voce di Barrence, capace in più di un passaggio di rievocare i fasti dei più grandi soul singer, da Wilson Pickett a Otis Redding, con un tocco di rozzezza rock’n’roll nel nome di Little Richard. A supportarlo ci sono un’ottima sezione ritmica, in grado di dare la giusta dose di groove (ad esempio in It’s Might Crazy) ed animalità (vedi Shot Down) ai brani, la chitarra di Greenberg, che si lascia andare di volta in volta ad omaggi ai ‘50s di Chuck Berry (come in Just Moved In o Who’s Gonna Rock My Baby?) o ai ‘60s delle garage band (in 64W MM232), e il sax di Tom Quartulli, che passa da attacchi alla Sonics (nella devastante Willie Meehan) a sottofondi più calmi da soul ballad (come in You Told A Lie).
Il risultato, come detto, è una serie di ottimi brani che vanno a ripescare dalla grande tradizione della black music di mezzo secolo fa, con cambi di registro e una certa varietà che allontanano la noia e danno modo a Barrence e ai suoi compagni di divertirsi e, soprattutto, di far divertire chi li ascolta, con lo stesso spirito di 25 anni fa.