Bob Dylan con un incidente ha rivoluzionato la sua carriera, chiudendo la fase elettrica e aprendo quella cristiana e country di John Wesley Harding e Nashville Skyline fino a quella distruzione identitaria che fu New Portrait. Davide Delmonte da un incidente ha semplicemente cominciato la sua carriera, con lo pseudonimo di Happy Skeleton, un voluto riferimento a quello che sarebbe potuto diventare se l’impatto avesse avuto conseguenze diverse. Come lo stesso Davide ha affermato, la riflessione sulla morte vista in faccia lo ha portato a sputare fuori undici pezzi che sono diventati poi canzoni con arrangiamenti a puntino grazie all’aiuto di Paolo Messere della Seahorse Recordings. E quel che emerge è un disco concepito almeno mentalmente negli anni ’90, sotto qualsiasi ottica la si veda, in quella ipnotica alla Massive Attack di Le rouge o in quella grungettona di When the fish was a flower. Il tentativo di evadere da questa dimensione si nota sul finale, con la acustica di I wish I could tell you e lo schizofrenico di There is no reset to me, ma non basta.
Capisco che questo disco può essere inteso come una cura personale, uno sfogo diretto a stemperare la tensione che deriva da una convalescenza fisica e/o mentale, ma questo Coffee & Cigarette Club rimane pur sempre un esordio e come tale va preso. Le liriche oscillano tra una sana ispirazione (Ann, revolution isn’t here) e un reiterare in prima persona che denota banalità. Le note più felici come già detto si mostrano nel finale; per il resto emerge dalle acque di riverberi e saturazioni solo una manciata di buone canzoni, ben fatte ma molto di maniera.