In occasione dell’uscita del suo debutto solista, David brewis, aka School of Language ci ha concesso una lunga intervista raccontando la genesi di Sea From Shore, il suo primo album al di fuori del contesto Field Music, distribuito per l’europa da Thrill Jockey e approfondito con una recensione qui su Indie-eye. E’ anche disponibile un Podcast da questa parte su Indie-eye Mediacast; realizzato insieme a David Brewis, una session di 25 minuti dove David suona e racconta il suo primo cd solista!
Indie-eye: Puoi raccontarci come è nato e come si è sviluppato il progetto School of language?
David Brewis: Io e mio fratello Peter abbiamo suonato in modo autonono per circa 4 anni prima di decidere di costituire i Field Music come progetto di collaborazione, dal momento in cui Field Music ha cominciato a configurarsi come un lavoro impegnativo e non più come un gioco, ci è sembrato naturale prenderci una pausa e occuparci di musica ancora una volta in modo autonomo e individuale. Da un certo punto di vista, non eravamo nella situazione in cui i Field Music ci erano necessari per far soldi, anche perché non ne abbiamo mai fatti! Da una prospettiva creativa sentivamo una certa forma di limitazione all’interno della struttura musicale che Field Music ha progressivamente assunto e che in modo del tutto accidentale ci siamo costruiti; era il momento giusto per ridefinire quello che siamo capaci di fare.Tutto ciò mi ha permesso di sperimentare forme diverse che in un modo o nell’altro sono slegate dal concetto di band e che sono contenute in quello che è il primo album come School of Language.
IE:Quindi le motivazioni per questo stand-by attivato dai Field Music sono strettamente creative….
DB:Field music stava diventando una vera e propria band , in quell’accezione del tutto tradizionale che non era nelle nostre intenzioni. In un certo senso ci siamo sentiti imprigionati da quello che per altri avrebbe dovuto essere il sound Field Music, e questo mi ha tolto del tutto lo stimolo di andare in studio per registrare un altro album.
IE: Ad un primo ascolto Sea From Shore si presenta con un impatto molto più forte rispetto ai tuoi lavori precenti, quello che mi viene in mente è un’idea differente di Pop rispetto ai Field Music, principalmente nel modo in cui porti alle estreme conseguenze il tuo songwriting, la qualità del suono e del tuo modo di cantare….
DB:Tutte le volte che comincio a lavorare ad un nuovo disco cerco sempre di esplorare gli estremi delle mie capacità creative; volevo che le cose avessero un suono più pesante e basato sull’impatto chitarristico rispetto alla produzione dei Field Music; allo stesso tempo mi interessava un approccio più intimo, come se dovessi sussurrare qualcosa all’orecchio; un aspetto che viene percepito come inappropriato se componi per una band. Volevo che le cose suonassero in modo maggiormente spontaneo, dal momento in cui molta della musica dei Field Music era molto pensata e costruita. La mia intenzione era quella di curare maggiormente la parte relativa alla scrittura, elaborando melodie più espressive, ma allo stesso tempo lasciando inalterata l’intenzione ‘pop’. Quello che mi piace della musica pop e che può incorporare tutto, altri generi più specifici implicano una certa rigidità, il pop può davvero includere di tutto, dalla musica concreta all’opera, alla techno. Per quanto riguarda il mio modo di cantare, sto imparando lentamente a migliorare, cercando di diventare un cantante sempre più libero e creativo.
IE:Mi sembra che al di là dell’impatto sonoro, il livello sperimentale e astratto dei brani sia davvero complesso e che sia capace di mostrare un punto di vista frammentato, di utilizzare textures, influenze, immagini, testi in modo più radicale rispetto alla produzione Field Music
DB:In verità abbiamo sempre cercato di lavorare cosi come dici tu. Sono affascinato dal modo in cui la musica Pop viene concepita e sarebbe disonesto da parte mia negare il peso della musica che mi ha influenzato. Non penso che i brani contenuti in Sea from shore siano strutturalmente più complessi di quelli presenti nei cd dei Field Music. C’è sempre stato un procedimento di decostruzione, ma a questo giro volevo mettere l’ascoltatore nelle condizioni di riconoscere tutti i collegamenti; credo che molte persone non abbiano mai percepito la complessità dei brani dei Field Music per il loro suono poco intrusivo. Spesso mi trovo a comporre sfruttando gli aspetti marginali di un’idea, non mi importa se questo margine è totalmente bizzarro; se suona bene e segue un corso logico e naturale, allora so di poterci lavorare. Uno dei grandi vantaggi dell’arte del ventesimo secolo era la possibilità di usare frammenti per provare ad esprimere cose indescrivibili, dai sentimenti ai pensieri agli stati di coscienza, e in qualche modo mi sembra di seguire quella tradizione. Credo maggiormente nelle possibilità dell’evocazione, piuttosto che in quelle della descrizione. Questo è uno dei motivi per cui non scrivo le mie canzoni servendomi di un racconto ovvio o pieno di riferimenti alla vita di tutti i giorni , come per esempio cantare qualcosa sul mio player mp3, un argomento che adesso potrebbe avere il suo significato, ma che non evocherebbe niente tra cinque o dieci anni, se non un vago senso di nostalgia.
IE:La “serie” Rockist mi sembra che utilizzi proprio questo procedimento; è qualcosa di più di un gruppo di versioni alternative; ancora penso alla frammentazione di un punto di vista sulla musica pop, che muove elementi come fossero carte, a partire dal loop vocale che introduce Rockist part 1, qual’è l’idea che sta dietro questi brani?
DB:Si possono creare molte cose differenti utilizzando gli stessi elementi; questa è piu o meno l’idea alla base della serie Rockist. La stessa idea è presente nel testo del brano, che in qualche modo si riferisce all’utilizzo delle parole da parte delle persone e alla differenza di significati che queste implicano. Il loop vocale è nato principalmente come idea strettamente musicale, avevo sentito qualcosa di simile in un disco degli Smog e volevo rifarlo. Le voci, nella sezione 1,2 e 3 sono tutte nella stessa nota e vanno nella direzione di quello che sto cercando di fare con la limitazione dell’armonia, dove viene ridotto il numero delle note utilizzate all’interno di una canzone. All’estremo, il lavoro che è stato fatto in questo disco va anche nella direzione di un maggior cromatismo e verso l’uso di armonie più dissonanti.
IE:Se dovessi parlare di suggestioni e influenze, mi sembra che parte del carburante e delle intuizioni di Sea From Shore provengano da quella breve stagione dove Fripp e Eno facevano I loro esperimenti con la struttura tradizionale della canzone pop, ottenendo risultati fuori margine, uno per tutti , Sacred Songs con Daryl Hall che mi sembra affiorare in un brano come Poor Boy; che cosa ne pensi?
DB:Adoro i primi due album dei Roxy Music e penso che Eno sia un grande, mentre ho ascoltato raramente i King Crimson. Il mio unico approccio a Robert Fripp è attraverso i dischi di Eno, Peter Gabriel e David Bowie, tra l’altro negli ultimi cinque mesi mi sono buttato nello studio della discografia di Bowie. Non conosco troppo bene Sacred Songs e ad ogni modo, sia Eno che Fripp per me rappresentano un’influenza di tipo filosofico piuttosto che direttamente musicale; hai presente le Obtuse Strategies? E’ abbastanza difficile usare quelle carte, ma l’idea filosofica che ci sta dietro è davvero una notevole fonte di ispirazione. (continua nella pagina successiva…)