Questo dell’omonima band marchigiana è un disco d’esordio, prodotto artisticamente da Andrea Mei (Gang, Nomadi) ma sospeso tra pop e attitudine cantautorale declinata in forma folk. Due le voci che si alternano e che raccontano un’intera generazione, quella dei ventenni universitari che devono fare i conti con la società attuale, tra voglia di indipendenza, voglia di tenerezza, voglia di sballo e una vita di provincia che forse offre solo alcune delle cose desiderate. Ma gli Elpris sono molto di più, lo conferma questa intervista dove con decisione propongono un’idea musicale lucida e lontana dalle “lamentatio” generazionali a cui il contesto indipendente ci ha abituati.
Come nasce il progetto Elpris?
Il progetto Elpris nasce, con questa formazione, nel 2011. All’inizio eravamo solamente un trio (basso-voce, chitarra, batteria) che si divertiva a suonare in sala prove come sfogo nei confronti dell’università. Abbiamo deciso poi di far entrare nella band un violino, un organetto e una voce solista.
La scelta di muoversi nel solco del cantautorato italiano ma con un forte attaccamento alle radici tradizionali è il vostro tratto distintivo. Quali tradizioni siete andati a cercare?
In realtà non ci siamo messi a cercare delle tradizioni particolari: la “tradizione” viene portata dall’organetto e dal violino, strumenti per l’appunto tradizionali, ma che vengono utilizzati in maniera non tradizionale per creare un nuovo tipo di sound.
Ci sembra che il violino sia lo strumento centrale della vostra musica, con qualche riferimento ai modi in cui veniva usato da formazioni come la prima Premiata Forneria Marconi; gli anni settanta sono un recupero importante per voi?
Sinceramente non c’è stata un’idea collettiva di recuperare gli anni settanta, per quanto Frank (bassista) ami il progressive italiano di quel periodo e cerca di farlo trasparire nel suo modo di suonare, ma è solo una questione di stile personale. Il nostro intento non è quello di fare riferimento a gruppi come la Premiata Forneria Marconi, ma per una cosa o per un’altra un ascoltatore può ritrovare delle atmosfere che rimandano a quel tipo di gruppi..
Che contributo ha portato alla vostra musica la supervisione di Andrea Mei che ha lavorato con i Nomadi e con il rock di frontiera dei Gang, una band che ha qualche affinità con la vostra musica…
Andrea Mei ha contribuito molto alla nostra formazione. Ciò che amiamo del suo lavoro è che lui ha voluto mantenere la nostra idea originale nella creazione di un sound pop con strumenti poco convenzionali facendo confluire tutte le nostre influenze all’interno dei nostri pezzi. Andrea è riuscito a renderci pop allontanandoci così da possibili somiglianze lirico-musicali da gruppi come Gang, Modena City Ramblers
Cosa vi piace del pop della vostra generazione e cosa non vi piace? Sembra che tra i venti e i trent’anni la faccia da padrona un’incertezza filosofica e politica esemplare e che in contesti indipendenti si parli sempre delle stesse cose con un orizzonte limitato ai confini della propria cameretta, non è limitante? Che cosa ne pensate?
Ciò che ci piace dell’indie italiano è il suo essere musicalmente variegato: è molto difficile trovare un cospicuo numero di canzoni musicalmente uguali tra loro, come per esempio accade nei prodotti delle major. Ciò che ci fa storcere un po’ il naso è la –quasi continua- ripetizione di concetti come “quanto è dura l’adolescenza”, “la vita in provincia è dura”, “noi indie siamo meglio di voi major” e via discorrendo.
Siamo perfettamente d’accordo, la domanda precedente verteva proprio su quest’aspetto e proprio riguardo a questo ci veniva in mente un brano come “Poppeggiando” sembra proprio un gioco ironico su quel mondo pop fatto di vacuità e di crisi esistenziali da quattro soldi, lo sfondo sonoro non è pop e il testo è volutamente acido “poppeggiate i miei coglioni se non lo sapete fare” , ci raccontate un po’ il senso del brano?
Poppeggiando” è un pezzo paradossale. Come avete notato anche voi, questa canzone parla del pop imitandone la struttura, ma con un testo duro e irriverente contro il pop stesso. Anche l’ossessività del ritornello risponde a questa sorta di scimmiottamento. Ovviamente quando diciamo pop intendiamo quello prefabbricato e monotono. Pompato come le tette col silicone, ma senza linfa vitale (“ma poi poppo poppo poppo e non ne esce neanche un sorso“).
Come porterete la musica di Elpris dal vivo? Su palco sarà verace e urgente come su disco?
Porteremo la nostra musica dal vivo come abbiamo sempre fatto, con energia e forza dirompente, viviamo il palco in maniera molto -passateci il termine- “punk”. Chi ci ascolterà dal vivo avrà sicuramente un’altra percezione rispetto all’ascolto del disco, che ha un impatto più “morbido”.
lpris – Siringhe (o di una vita) Official Video – Regia Francesco Sabbatini