Albert Moya è un giovane regista catalano collaboratore frequente del canale digitale Nowness, notissima realtà editoriale londinese che dal 2010 mette insieme tutti gli stimoli visivi provenienti dal campo dell’arte, del design, della musica e della moda. Moya si è fatto le ossa con questo linguaggio di confine, confezionando una serie di brevi documentari dedicati ad architetti come Ricardo Bofill, fulminei videoritratti ritagliati sui giovani volti del cinema e della moda, come quello realizzato per Gucci insieme a Charlie Heaton, ed infine un ardito esperimento visuale/narrativo insieme a Efthymis Filippou, il “fedele” sceneggiatore del cineasta greco Yorgos Lanthimos.
Moya produce i suoi video con l’aiuto della produzione spagnola nota come CANADA, fondata da Lope Serrano e Nicolás Méndez, gli autori di alcuni degli ultimi video di Rosalia, tra cui il popolarissimo Malamente.
Ci riprova con la forma breve del videoclip a distanza di sei anni da “You don’t know me” per The Polyphonic Spree e forte del suo apprendistato su Nowness, oltre al coraggio dei progetti veicolati dal marchio CANADA, realizza un lavoro davvero incendiario, molto vicino per certi versi ai primi video di Serrano/Méndez, ma assolutamente personale nel mettere in scena un racconto sinestetico che punta tutto sull’associazione di immagini dal forte impatto drammatico.
Contiene apparentemente decine di film il video di “Exits”, tanti quanti la memoria possa ricombinarne nel rapporto con il vissuto, in un terzo spazio di natura virtuale. Moya mostra le “uscite” continue dai tre mondi (ricordo, vita, virtualità) nel momento in cui il gesto sta per incontrare o al contrario, ha appena superato l’effetto della rappresentazione visiva. Il risultato è quello dell’esplosione di un climax dentro l’altro, un procedimento che erroneamente potrebbe essere assimilato a quello di un trailer, ma che è frutto di una strategia “post-moderna” ben precisa di destrutturazione del racconto, dove il legame viene mantenuto ritmicamente attraverso la frequenza di gesti ripetuti. [Continua dopo il video…]
Foals – Exits – Dir: Albert Moya
Girato a Budapest e interpretato dai due giovani Christa Théret (già nell’ultimo Non-Fiction di Assayas) e Isaac Hempstead Wright ( Bran Stark nella serie HBO Game of Thrones ) nella parte di due amanti, entrambi atleti in una strana accademia di scherma dalle caratteristiche quasi clandestine, si serve di un immaginario cross-mediale che combina tutte le esperienze di Moya, dai visuals ai fashion movie, dall’attenzione ai volumi architettonici al sapiente uso delle luci artificiali, basta pensare alla splendida sequenza in cui la Théret viene attraversata da un fascio di luci a led, come se venisse rimappata a partire dalla proiezione di un simulacro virtuale.
I riferimenti al controllo psichico e al legame con un mondo simulato attraverso la condivisione consensuale di una realtà ricreata digitalmente, sono espliciti e raggiungono un notevole livello poetico quando i volti dei due amanti si sovrappongono attraverso il riflesso sulla parete di vetro che li separa; stanza dove tutto sembra avere origine.
Moya compie quindi il tentativo di interpretare le liriche dei Foals trasversalmente; da questo punto di vista è una straordinaria lezione di videomaking di scuola anti-narrativa, che segue al contrario una risonanza precisa con lo storytelling del testo. I continui riferimenti ad un mondo capovolto dove le uscite non sono più disponibili ( They got exits covered / All the exits underground / I wish I could figure it out / But the world’s upside down ), l’unica possibilità di scampo offerta dalla dimensione onirica ( Oh, to meet you again / To pass you on the stairs / To see you everywhere / In my dreams ), il controllo assoluto operato da una società dalle caratteristiche orwelliane ( Cause they watch us in sleep / And the language that we speak / And the secrets that we keep); rendono l’esperienza visiva riflesso diretto della parola.
Autore di questo violento neo-impressionismo fotografico insieme a Moya, uno dei più promettenti direttori della fotografia francesi, Benoit Soler.