L’atmosfera al Biko è quella dei grandi eventi: c’è infatti sold out, con una lunga fila di persone all’ingresso (non so se poi tutti hanno trovato posto all’interno, ma probabilmente no) e molte già assiepate sotto al palco nell’attesa di James Vincent McMorrow, che arriva finalmente anche in Italia, in data unica peraltro, a presentare il suo secondo disco, Post Tropical, uscito a gennaio e acclamato un po’ ovunque come un’ottima prova cantautorale.
A scaldare degnamente il pubblico ci pensa Fabrizio Cammarata, che accompagnato solo dalla sua chitarra regala un set breve ma intenso che pesca qui e là dalla sua carriera e che raggiunge il suo acme nella cover di La Llorona, brano tradizionale messicano strappalacrime.
Dopo un’ulteriore mezz’ora di attesa arriva finalmente il momento di James Vincent, che si posiziona davanti alla sua tastiera, accompagnato dalla sua band, deputata a suonare batteria, chitarra, ammennicoli elettronici vari e, soprattutto la parte femminile, a fare i cori.
McMorrow è veramente bravo, lo si capisce da subito: ha una padronanza della sua voce incredibile, canta praticamente sempre in falsetto senza mostrare cedimenti, raggiungendo picchi che per molti colleghi che ricorrono allo stesso modo di cantare sono quasi un’utopia. La band lo segue e lo sostiene da par suo, con suoni sempre al loro posto e in grado di valorizzare la voce del leader. Ciò che forse manca un po’ è la varietà della proposta: la scaletta, che alterna brani tratti da Post Tropical e dal precedente Early In The Morning, si muove tra pezzi “alla Bon Iver”, quelli meno elettronici, tra cui la sua maggiore hit Higher Love, che tra l’altro è una cover di Steve Winwood e fa quasi suonare il campanello d’allarme José Gonzalez (il cui pezzo migliore resterà per sempre Heartbeats dei The Knife), e pezzi “alla James Blake”, dove i beats si fanno sentire maggiormente a dare una moderna ed algida versione di soul bianco. Ci sono un paio di tentativi di aumentare l’intensità, per esempio con The Lakes, spostandosi verso un folk-rock di buon impatto, ma su circa un’ora e mezzo di concerto forse non basta.
Alla fine è comunque un trionfo per McMorrow, acclamato dal pubblico e costretto a un lungo bis da chi vuole continuare a farsi cullare dalla sua voce perfetta.