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Chissà se qualcuno se n’è accorto che l’ultimo singolo di Marissa Nadler veicolato da un videoclip realizzato dalla stessa, ha lo stesso titolo di un thriller diretto nel 1972 da Sergio Martino. Come in “Tutti i colori del buio” il contatto tra realtà e dimensione onirica è una delle intenzioni dichiarate dalla stessa Nadler: “Il mio amore per le immagini in movimento – ha detto la musicista di Washington – si sposa perfettamente con il ritmo del brano”
Tra Martino e la Nadler il punto di mezzo è sicuramente la scrittura di Edgar Allan Poe, fondamentale per entrambi, per Marissa esplicitamente omaggiato nelle liriche di “Annabelle lee” e implicitamente presente in molti suoi lavori, per il regista italiano fonte di ispirazione che veniva resa manifesta durante il lancio del film con una frase adattata dagli scritti dello scrittore americano: “nel buio la mia mente si colora di angoscia, di libidine, di paura”
Nello stop-motion molto tattile e vitalmente approssimativo della clip, c’è chi avventatamente ha rilevato connessioni con il cinema di Luis Buñuel, una possibilità molto lontana e che casomai arriva da altre fantasmagorie dell’immagine, le stesse che la Nadler ha rivelato riferendosi chiaramente a Jan Svankmajer, ai Quay Brothers e alle fotografie di Francesca Woodman e aggiungiamo da parte nostra, al cinema di Maya Deren, proprio per la forma fisica e allo stesso tempo evanescente che da una prospettiva interiore si riverbera nello spazio chiuso di una casa e sugli oggetti che la occupano. In tutti questi artisti, Nadler inclusa ovviamente, l’influenza del Surrealismo come presenza di terzo, quarto, quinto grado è sicuramente riconoscibile, ma nei termini in cui ne parla lo stesso Svankmajer: “Il Surrealismo non è interessato a creare alcun tipo di estetica. Preleva elementi da artisti differenti, ma non esiste […] André Breton non avrebbe detto Pittura Surrealista, ma avrebbe detto Il Surrealismo nella pittura“.
Nel video della Nadler gli oggetti del quotidiano si animano di vita propria, segnano il passare del tempo e attivano una visione metamorfica sulla stessa esistenza, dove Marissa è un’apparizione transitoria tra le altre, quasi sempre sovrimpressa, quasi sempre inquadrata dietro ad una tenda oppure al livello di un riflesso. Ciò che rende il video tangibile è la manualità della tecnica impiegata, uno stop-motion volutamente primitivo e impreciso come si diceva, con gli oggetti di materia plastica che subiscono la mutazione più evidente, tra natura e artificio creativo.