Andrea Belfi è quello che potremmo definire un musicista proteiforme. Motore ritmico dei Rosolina Mar e adesso polistrumentista nei più svariati progetti, tra cui Hobocombo ma anche Boy di Carla Bozulich. Vent’anni di carriera spesi tra musica sperimentale, rock e impro, attraverso la collaborazione con artisti del calibro di Mike Watt, Jóhann Jóhannsson (leggi l’intervista al compositore islandese sulla colonna sonora di Sicario) e David Grubbs. Mentre il lavoro più recente risale allo scorso maggio ed è condiviso con gli Hobocombo (Moondog’s 99 step), la conversazione con Belfi che vi proponiamo si svolge intorno all’ultimo dei suoi cinque album pubblicati come solista, ovvero “Natura Morta” pubblicato a fine 2014.
In “Natura morta” ho notato un approccio nuovo al tuo materiale sonoro, rispetto al passato molto meno legato ai paesaggi sonori e più focalizzato sul dialogo fra singoli elementi. Qual è stato il tuo modus operandi?
A differenza dei dischi precedenti “Knots” e “Wege”, dove i vari brani erano prima costruiti, poi suonati dal vivo per diversi mesi e poi registrati e prodotti per essere pubblicati su un disco, “Natura Morta” vive anche separatamente dalla dimensione del concerto, nonostante il mondo sonoro timbrico e ritmico sia lo stesso. L’idea che sta dietro al titolo e al modus operandi in tutte le varie fasi della lavorazione del disco, è quella di visualizzare i vari elementi sonori come oggetti di una natura morta, che sono allo stesso tempo statici ma che creano una sorta di narrativa e raccontano una storia.
Se la tua natura morta fosse un quadro, da quale pittore vorresti che fosse stato realizzato?
Io direi il video/quadro … di Bill Viola.
Come sono nati i brani di “Natura morta”?
Ho composto e registrato il disco in tre fasi diverse. Nel 2011 sono stato invitato dall’EMS di Stoccolma per una residenza di una settimana, dove ho lavorato e registrato materiale con un Serge e un Buchla, due maginfici sintetizzatori modulari. Ho poi ripreso il lavoro di composizione del disco due anni dopo, durante un’altra residenza un mese allo ZKM di Karlsruhe, dove ho potuto costruire lo scheletro del disco nella sua interezza. L’inverno sucessivo ho poi avuto l’opportunità di registrare le batterie in uno studio meraviglioso alla Funkhaus, sede della radio nazionale della defunta Germania dell’Est, direi lo studio acusticamente più eccitante per il tipo di sonorità acustica e “calda” di cui avevo bisogno. Il lavoro di missaggio è durato qualche mese, dato che mi sono preso tutto il tempo necessario per poter ridurre all’osso la grande quantità di materiale che avevo prodotto.
Pur essendo una figura eclettica nel panorama italiano, i tuoi lavori hanno sempre un ottimo seguito. A cosa pensi sia dovuto questo riscontro?
Non ti so proprio dire se da un punto di vista numerico le cose siano così positive, ma prendo questa tua affermazione come un complimento!
Il mio lavoro si basa su una ricerca musicale che, spero, vada al di là di generi musicali catalogabili, e mi piace pensare che le persone che si interessano al mio lavoro lo facciano per il tipo di ricerca che porto avanti e per la qualità della mia musica.
Rispetto a Berlino (dove l’artista vive, nda) o in generale all’estero noti delle differenze nell’approccio del pubblico al tuo lavoro?
Spesso c’è il mito che all’“estero” l’ascoltatore medio sia migliore di quello italiano, ma in verità trovo che la differenza la faccia il contesto, più che la musica in sé. Berlino ha il pregio di avere un’offerta impressionate di possibilità locali, concerti, mostre, e questo genera un confronto maggiore tra musicisti e ascoltatori.
Oltre a essere compositore, sei un performer in prima persona dei tuoi lavori. In quale ruolo ti senti più a tuo agio?
Direi in entrambe le situazioni, anche se la situazione del concerto mi piace molto di più, la trovo più appagante e mi dà l’opportunità di relazionarmi in maniera più diretta con l’ascoltatore.
Cos’è, per te, essere compositore oggi e, per di più, compositore che nella vita ha fatto di tutto, dal rock passando per le sonorizzazioni fino alle installazioni sonore?
Per quanto mi riguarda significa cercare di creare un mondo sonoro personale unico, al di là del mezzo utilizzato, del genere musicale o dal ruolo in cui mi trovo a lavorare.
Nella tua performance di oggi ho notato che in certi momenti, hai lasciato maggiore spazio alla batteria, il tuo strumento di origine. In che modo hai rivisto l’utilizzo dell’elettronica in concerto?
Nel set solista che sto presentando ho ridotto all’osso la strumentazione elettronica, in maniera da avere più libertà di improvvisare sia con la batteria e le percussioni che anche con la stessa parte elettronica. In questo modo ho molta più libertà di muovermi tra l’acustico e l’elettronico, di lavorare con prossimità, distanza e dinamica del suono. Grande fonte di ispirazione per questo live sono soprattutto i grandi della musica acusmatica “classica”, come Ferrari, Dockstader, Parmegiani per esempio.
Due parole sui progetti futuri.
Ce ne sono tanti in ballo…nei giorni scorsi sono stato in tour con Lori Goldston e Aidan Baker in trio, la prossima settimana ho due concerti come batterista per Circuit des Yeux e una settimana di tour con An the Wireman, per poi chiudere il 2015 con qualche data solista in Svizzera, una data con Waq Waq Kingdom (trio con Dj Scotch Egg e Kiki Hitomi di King Midas Sound) e una in trio con Andrea Parkins e Dean Roberts. La prossima primavera uscirà il nuovo disco dei The Swifter, trio con Simon James Philips al piano e BjNilsen all’elettronica e con BBS (con Erik Skodvin e Aidan Baker) abbiamo un doppio LP in fase di missaggio. Il prossimo anno ci sarà un tour europeo con Il Sogno del Marinaio, trio con Mike Watt e Stefano Pilia e con gli Hobocombo stiamo inoltre lavorando su nuovo materiale dall’impianto decisamente più elettronico. Poi ci sono altre collaborazioni in via di definizione, ma per ora mi fermo qui.