mercoledì, Dicembre 25, 2024

Ginah al Lago Film Fest XII #lagomusicfest – musica come esperienza, l’intervista

Il progetto GINAH nasce nel 2006 dall’esperienza degli Asilonido. La formazione originaria è costituita da Ralph Rosolen (piano, rhodes, synth), Roberto Papa (chitarra, basso), Dario Lot (batteria). Il trio è nativo di Refrontolo, piccolo paese della zona collinare di Conegliano e Vittorio Veneto. Amici da sempre amano la natura e i luoghi dove sono nati. Il loro inserimento all’interno del Lago Film Fest, nel contenitore dedicato alla musica e denominato Lago Music Fest, è assolutamente pertinente non solo per ragioni geografiche. Suoneranno sul palco di Revine Lago (Tv) in questa bellissima cornice naturale il prossimo 22 luglio. Dopo aver mosso i primi passi facendosi le ossa nei locali della zona, i nostri cominciano ad attrarre l’attenzione di un pubblico più specifico e partecipando a numerosi festival, oltre all’opening act per gli statunitensi This Will Destroy You
Entrano in studio nella primavera del 2013 e scelgono il Garage Studio, lo stesso di Donna Katya & The Superfeed affidandosi quindi alla produzione di Marco Pagot, già con Chinasky e Maya Galattici. L’album si intitolerà “Sorry for the delay” e vede la partecipazione di uno sperimentatore di razza come Giuseppe Piol (Bhasmantam). La loro è una musica eminentemente strumentale anche se nel disco ci sono gli interventi vocali di Cristiana Buso (Geos) e la voce di Jordan Buttignol ad arricchire il tessuto della loro musica. Proprio a fine 2014, quando le registrazioni del disco si stanno per concludere, si aggiunge Michele Botteon alla formazione.

In attesa della loro esibizione al Lago Film Fest, li abbiamo intervistati

Ginah su Facebook

Quello dei Ginah è un rock strumentale che non si accontenta di margini e generi troppo angusti. La contaminazione è una via che vi interessa, e in che modo?

RALPH: Facciamo musica strumentale innanzitutto, perché? Perché ci siamo resi conto che era il modo migliore per noi di esprimerci e portare qualcosa a chi ci ascolta. Inizialmente, nel lontano 2006, quando eravamo ancora in 3, cantavamo, non era male, ma poi ci siamo accorti dapprima che funzionava tutto anche senza voce, e poi in seguito anche meglio senza voce dando più spazio agli strumenti e alle loro trame. Nella mia percezione ho sempre visto la voce come un elemento dominante, una cosa che attira l’80% dell’attenzione su un brano, questo di per sé non è un male, ma nella musica dei Ginah preferiamo che a parlare siano gli strumenti, preferiamo che venga creato un flusso sonoro nel quale l’ascoltatore può imbarcarsi e decidere in quale corrente inserirsi. La mancanza della voce insomma è stata una scelta quasi non ragionata, naturale, se togli il fatto che non avere la voce ti permette di non essere limitato a confini nazionali e che nei live è un problema in meno da gestire.

Gina, Stelle – video ufficiale

Nei Ginah fin dall’inizio non ci siamo imposti un genere o ispirati ad un filone in particolare; semplicemente abbiamo fatto partire il progetto mettendoci dentro quello che ci piaceva suonare ed è venuto naturale fare quello che facciamo, sembra quasi banale, ma in realtà non lo è. E’ chiaro che quello cha apporta ognuno di noi dipende dai suoi ascolti, dalle sue influenze e dai gruppi e filoni che gli piacciono, per noi questo è il bello, forse è quello che succede da anni nella storia della musica; penso che ogni nuovo genere non sia altro che il frutto del mix di altri generi a monte, un albero genealogico insomma. I Ginah non sono riconducibili ad un genere in particolare. Ognuno può decidere di sentirci quello che vuole. Ed in ogni caso a noi interessa che arrivi qualcosa a chi ci ascolta, che sia un’emozione, il gusto per un particolare accordo o un timpano fracassato dalla botta sonora, poi se in questo ci vede un genere, buon per lui. Il fatto di non avere un riferimento preciso vuol dire poi che può capitare di arrivare in sala prove e non avere la più pallida idea di cosa porterà la sessione, vuol dire che spesso si comincia a suonare, improvvisare insieme, a volte anche farsi dei gran viaggioni musicali di ore per arrivare alla fine della serata con un sacco di materiale; questa è la parte bella, poi però bisogna dare una forma a quel materiale, è lì che inizia il lavoro duro, lungo e dispendioso. Un processo non sempre facile che cerca di portare a galla l’essenza di quelle lunghe improvvisazioni, a volte, purtroppo, anche togliendo l’immediatezza e l’intenzione posta nella prima take. Ma bisogna pur sacrificare qualcosa ogni tanto.

MICHELE: La contaminazione è un elemento costante e in continua evoluzione all’interno dei Ginah e non si limita alla sfera dell’ascolto musicale. Le diverse esperienze della vita personale e di gruppo confluiscono in modo piuttosto libero all’interno dei brani e questo è uno dei fattori che rendono il repertorio difficilmente etichettabile e sfaccettato. Le evoluzioni all’interno della formazione, che hanno caratterizzato l’ultimo anno e mezzo di attività, si sono poi rivelate una variabile importante nella resa live dei brani del disco nonché durante il processo creativo della band.

ROBERTO: Personalmente non ricerco realmente una contaminazione ma avviene da se,la mente modifica solo il mio primitivo modo di fare musica.

DARIO: Ciò che si fa è contaminato da ciò che si è visto e sentito. Si intende questo? Contaminazione intende uno stile che si sporca, che si contamina di un altro? Oppure una persona che viene contaminata da un’ idea o da un’ impressione? Io mi contamino? Come per la malattia o la radioattività che pervadono gli organismi? Se si intende ricevere influenza, allora si, mi interessa, ma non mi pare un atto volontario. Una qualche cosa che si ricerca. Piuttosto un evento che accade vivendo. Qui viene posto come un fenomeno positivo mi pare.. Una volta il ritmo dritto mi pareva banale, noioso, scontato, da evitare, commerciale, povero. Poi ho subito una contaminazione musicale. Da lì il ritmo dritto ha iniziato a sembrarmi ricco mistico energico poderoso essenziale rivelatore, vettore di energie ancestrali, difficile da padroneggiare, bello, naturale.

La gestazione di “Sorry for the delay” è stata lunghissima. Potete raccontarci il percorso che vi ha portato al risultato finale?

ROBERTO: Il progetto una volta nato ha voluto vivere;  l’ha fatto nel sottosuolo per poi riemergere quando io pensavo fosse morto giá da un pezzo.

RALPH: Sì è vero è stata lunghissima, quasi 10 anni visto che il disco è uscito nel 2015 e noi come gruppo abbiamo cominciato la nostra attività nel 2006. Prima del disco ufficiale avevamo fatto un bell’esperimento con Beppe Piol che ci aveva registrati in presa diretta su bobina, da lì era uscito un demo che abbiamo chiamato con immensa fantasia “Tapes”. In seguito, nell’estate del 2013 abbiamo deciso che era ora di fissare in un disco ufficiale tutte le idee costruite negli anni precedenti, un modo per chiudere un capitolo, crearne una testimonianza e andare oltre. Su questo poi in realtà potrei dirti che il disco anziché farci chiudere con i pezzi del passato ce li ha fatti suonare ancora e ancora davanti a nuovo pubblico; pezzi come “Numero Uno” esistono dagli albori dei Ginah e li suoniamo tutt’ora, ma penso sia normale, per noi hanno 10 anni, per qualcuno è il primo ascolto.

Ginah – Germica, audio ufficiale

Come Ginah ci abbiamo messo tanto prima a decidere di fare un disco e poi anche a farlo. I motivi sono riconducibili secondo me al fatto che nei primi anni abbiamo intervallato momenti di grande attività creativa e live a lunghe pause, durante le quali, poteva sembrare addirittura a noi stessi che ci fossimo sciolti, poi ogni volta si riprendeva e si ripartiva, rispolverando le vecchie idee e costruendo cose nuove. L’occasione di solito era la possibilità di fare un concerto che quindi poneva un obbiettivo temporale e in qualche modo ci “costringeva” a fare prove. Le pause sono servite comunque, per uscire dalla routine del gruppo, per trovare nuova aria e tornare più ispirati. Le pause sono state necessarie anche per diverse vicissitudini che abbiamo attraversato singolarmente a livello personale, niente di gravissimo, ma sono state esperienze di vita che, probabilmente come tutti, non avendoci uccisi ci hanno fatto crescere. L’altro motivo è che fare un disco di solito dà uno scossone al gruppo che può o portarlo a progredire o a farlo sciogliere definitivamente, noi non ci siamo andati distanti da questa seconda ipotesi. Fare un disco vuol dire anche affrontare la visione di persone esterne al gruppo, doversi mettere in discussione, a volte cambiare approccio al modo di suonare la parte di un pezzo, agli strumenti o amplificatori da utilizzare, questo può essere un grande stimolo, un’occasione per crescere e fare esperienza, ma allo stesso modo può essere spiazzante se preso con rigidità. Insomma fare un disco non è una cosa per tutti e noi, che non siamo dei superuomini, avevamo inconscia la paura di autodistruggerci andando a registrarlo. Invece è andata bene per fortuna, non ci siamo sciolti, siamo ancora qui. Il processo di produzione è comunque durato 2 anni! In perfetto stile Ginah, dopo aver fatto le riprese e i primi raw mix ci siamo fermati, ci siamo presi una pausa, ancora una volta! Il rischio di scioglierci in quel momento c’è stato davvero sia per l’impatto con la registrazione del disco che per motivi di vita personale, ma la pausa, ancora una volta, è servita. Quando ci siamo rimessi a lavoro avevamo la mente fresca, la visione più ampia, l’energia giusta per finire il lavoro e rimettere in moto il progetto Ginah. Nella fase successiva alla realizzazione del disco si è aggiunto all’avventura Ginah anche Michele, siamo diventati una formazione a 4, ci siamo ricostruiti in questa nuova formula ed ora oltre ai concerti stiamo preparando materiale inedito, vediamo se porterà ad un nuovo disco e in tempi non troppo da Ginah.

DARIO: Prima abbiamo iniziato. Senza sapere bene cosa fare e come. Per gioco e passione. Poi col tempo le cose hanno preso forma. I brani hanno preso vita. Il gruppo stesso ha iniziato ad avere la sua identità propria. Divertimento. Fatto qualche concerto, creato, espresso, vissuto, assaporato. Poi, a tratti pensavo fosse finito, morto. E invece ho compreso questo gruppo come entità vivente oltre la mia volontà e percezione. Col tempo ha prodotto un dignitoso lavoro discografico

Come è stato lavorare con un produttore come Marco Pagot?

DARIO: Grande passione. Grande volontà. Grande spirito. Carattere duro. Forti convinzioni. Fede in ciò che fa. Ho imparato qualcosa lavorando con lui.

RALPH: Marco è un grande, sa quello che fa, ha le idee chiare forte della sua esperienza come musicista, fonico e produttore. Marco è anche un amico, è stato un processo naturale arrivare all’idea di fare il disco con lui, ne abbiamo parlato davanti ad una birra ed abbiamo deciso. Noi avevamo bisogno di qualcuno che capisse e al quale piacesse il tipo di musica che facciamo. E’ importante lavorare con qualcuno che sia entusiasta del prodotto, che ci metta energia, non che lo faccia per inerzia, altrimenti non funziona, le cose non vengono fuori o sono comunque sterili. Marco faceva per noi. Con lui abbiamo deciso l’approccio da utilizzare per la registrazione del disco, come accennato prima, abbiamo dovuto metterci in discussione, non è stato semplice usare strumentazione diversa, suonare a click, perché ci sembrava di togliere essenza al nostro essere. Ma abbiamo capito che registrare un disco vuol dire fare una fotografia di quello che sei utilizzando un certo tipo di fotocamera che certamente è diversa dalla fotocamera che puoi usare per fissare un live, sono cose diverse, non si può pretendere che un disco suoni come un live e non si può pretendere che un live suoni come un disco. In un live puoi sentire la botta che ti fa vibrare da dentro, in un disco senti il dettaglio. Marco ovviamente lo sapeva, noi un po’ meno, quindi siamo stati stimolati ad avere un punto di vista nuovo. Ci siamo anche scornati con lui e tra di noi, abbiamo delle personalità molto forti, ma alla fine ne siamo usciti con più esperienza e consapevolezza.

Con Marco abbiamo poi approcciato il disco in questo modo: in evidenza le cose principali, quelle che si sentono normalmente in un live dei Ginah, sotto, stratificate, una serie di trame, dettagli e suoni che possono sfuggire ad un primo ascolto, ma che arricchiscono il disco ed escono alla lunga distanza.

ROBERTO: A me non piace lavorare figurati se pagavo per farlo, con marco é stato uno spasso anche se devo ammettere che quando mi ha fatto suonare a volume bassissimo per registrare avrei voluto licenziarlo.

Ginah, Viaggi spaziali – audio ufficiale

E gli oggetti sonori di Giuseppe Piol, cosa sono esattamente e come interagiscono con la struttura dei vostri brani?

RALPH: Beppe Piol, oltre ad essere anche lui un caro amico, è un musicista e produttore di techno ed elettronica attivo dai primi anni ’90 e conosciuto come “Bhasmantam”. Se entri nella sua stanza dei bottoni con le pareti tappezzate di sintetizzatori, campionatori, drum machine, looper non ne esci più. Come dicevo noi abbiamo bisogno di lavorare con persone che capiscano cosa fanno i Ginah, anche Beppe è uno di loro. Lui, come Marco, non si ferma qui. Ci guarda con spirito critico, ci offre la sua visione esterna e noi attingiamo. Gli oggetti sonori di Beppe Piol sono suoni costruiti da zero gestendo le forme d’onda, aggiungendo effetti e via dicendo, sono piccole sculture, opere d’arte che possono durare pochi secondi, minuti, ore. Lui ce li ha messi a disposizione e noi li abbiamo usati per arricchire il substrato sonoro del disco nell’ottica della stratificazione decisa con Marco. Di questi oggetti Beppe ne ha a centinaia, sviluppati durante gli anni di produzioni musicali, molti costruiti ad hoc per il disco dei Ginah, la parte divertente è stata scegliere e posizionare questi elementi all’interno del disco con l’attenzione di non stravolgere il sound originale. Un bell’esempio si può avere in “Spora 17” dove a circa 3.09 si sente un suono tipo vento/motore a reazione arrivare da lontano ed esplodere al rientro della batteria, cose così.

DARIO: Esattamente non so, ma in giro per il disco si sente roba strana aggiunta. Di carattere meccanico spaziale. Giuseppe è un appassionato sperimentatore sonoro. Sa catturare suoni nel mondo, li elabora. Poi li avrà dislocati, sparsi, disposti.

ROBERTO: Questa non la so proprio

La voce non è al centro del vostro lavoro, ma è presente in modo peculiare attraverso il lavoro di Cristiana Buso e Jordan Buttignol. In che modo sono stati elaborati i loro interventi?

DARIO: Cristiana ha interpretato un umore primitivo trasposto in un era meccanica. Penso che sia stata un’idea spontanea. È un accenno. Funziona. Sarebbe da ripetere ampliare coltivare. Jordan ha proposto il suo tono sommesso ma vigoroso. Drammatico ma fiducioso per la narrazione di una scena, di un momento di vita. Anche qui si percepisce spontaneità nel proporre uno stile che ben si abbina al contesto in cui è stato inserito.

Ginah – Liquidi alcolici, video ufficiale

RALPH: Cristiana (componente originaria dei Geos, gruppo storico) ha un timbro di voce incredibile, è soave, è eterea, con la sua voce può fare praticamente quello che vuole. L’idea è stata di “sfruttare” il suo timbro e le sue capacità per creare uno strumento che facesse degli accordi. Abbiamo registrato diverse linee di voce e le abbiamo sovrapposte formando appunto delle armonizzazioni che creassero un contrappunto al suono degli strumenti originali dei Ginah. Il risultato è il finale di “Spora 17” nel quale si sente questo flusso entrare ed impossessarsi un po’ alla volta della scena portando con sé tutto quanto.

Per quanto riguarda l’intervento di Jordan in “Liquidi Alcolici” c’era un testo, l’unico, che avevo voglia di riportare nel disco. Ci piaceva molto la profondità della voce di Jordan (componente dei Dogs In A Flat) che avevamo sentito ed apprezzato in diversi suoi live, lui non canta, ma narra e quando lo fa ti folgora con quel suo inglese vero visto che, pur essendo di Vittorio Veneto, è nato e cresciuto in Australia. Quindi sì, abbiamo inserito queste due “chicche” sempre nell’ottica di allargare gli orizzonti del disco, ma senza dimenticare la natura strumentale dei Ginah.

ROBERTO: Bo

Senza fare il gioco dei riferimenti, mi sembra che tra tutte le cose che confluiscono nella vostra musica, che sono moltissime, emerga uno spirito vicino a quello dei CAN ma allo stesso tempo lontanissimo da loro per quanto riguarda i suoni. Mi sono bevuta il cervello o è così?

RALPH: No, non ti sei bevuta il cervello. I CAN sono uno dei miei riferimenti; come accennato prima non produciamo la nostra musica cercando di assomigliare a questo o a quello, semplicemente esce quello che ognuno di noi ha dentro come ispirazione, e quello che ognuno di noi ha come riferimento è molto disomogeneo, ascoltiamo roba diversa, con molti punti confluenti certamente, ma più spesso con direzioni differenti. Penso sia una ricchezza, una risorsa da sfruttare. Poi un altro motivo per cui facilmente ci puoi vedere gruppi come i CAN è il fatto che noi facciamo tanta improvvisazione in stanza, l’improvvisazione di per sé porta spesso a situazioni in cui ti metti a fare un giro ripetitivo, un loop, sul quale si spazia con variazioni sul tema, è uno dei modi più naturali per suonare assieme. I pezzi dei CAN, come più in generale il kraut rock, hanno la natura di essere costruiti in questo modo per cui ci può essere un vago rimando a loro. Come poi hai giustamente notato i suoni sono diversi perché è diversa l’intenzione che poniamo ed ovviamente gli strumenti.

ROBERTO: Non conosco i can, mai sentiti che io sappia e se li ho sentiti e li ho copiati é sempre colpa della contaminazione

MICHELE: Non saprei se i Can, nello specifico, siano stati un punto di riferimento consapevole dei Ginah. Il genere di approccio alla musica, fatto di sperimentazione all’interno di strutture spesso dilatate e di loop ossessivi, può essere un punto in comune di tipo strutturale che sfocia poi in risultati differenti.

DARIO: Forse la similitudine coi can è per il carattere ipnotico onirico. Può essere. Dopo un po’ le varie influenze si mischiano e si ottiene un’ impressione di traiettoria che ne è la risultante. Mi pare che i can ci stiano anche se forse erano un po’ più fuori di noi.

Ginah – Discomino (Live @ Palazzo Todesco 20/09/2015)

Tra gli strumenti che utilizzate mi sembra che il piano abbia una posizione centrale, come mai? È abbastanza raro nelle formazioni di rock strumentale, più interessate ai pieni e ai vuoti della sezione elettrica…

ROBERTO: il piano andrá dunque abbassato sicuramente, grazie per averlo fatto presente, pensa che neanche me ne ero accorto, Ralph avrá fatto il furbo in sala registrazioni nei suoi incontri solitari con Marco Pagot

RALPH: Sì, direi più che altro che il piano nel nostro caso, avendo un ruolo pari agli altri strumenti, e non essendo emarginato solo a qualche ballata, sembra più centrale. In realtà è semplicemente al suo posto. Ci sono diversi motivi, uno su tutti il fatto che il piano da subito ho deciso di suonarlo dentro agli ampli da chitarra e da basso, ho un approccio un po’ chitarristico allo strumento, mi piace darci dentro con delay e distorsioni. Questo fa sì che il piano ed il rhodes facciano spesso nei pezzi quello che potrebbe fare una chitarra o un basso, mantenendo tuttavia la loro peculiarità di strumenti a tasti bianchi e neri.

DARIO: Abbiamo utilizzato il piano perché ci piace la sua indole descrittiva, definitiva, ampia.

Come risuonerà la vostra musica nel contesto del Lago Film Fest? L’acqua, la natura e le creature del bosco, sono elementi di ispirazione per la vostra musica, al di là dell’occorrenza?

DARIO: Penso e spero che risuoni pertinente alla situazione. La natura è argomento di ispirazione. A noi ci viene fuori una natura intima e fragorosa.

ROBERTO: Bisognerebbe esserci per capirlo, comunque io personalmente traggo l’ispirazione sul momento, la situazione fa l’atmosfera

MICHELE: Il luogo e la luce/non luce hanno una forte influenza sulle nostre esibizioni. Credo beneficeremo particolarmente di una location così suggestiva in virtù delle caratteristiche della musica che proponiamo, la quale alterna a momenti esplosivi altri più intimistici e si potrebbe dire contemplativi. Già in passato abbiamo lavorato sul rapporto tra musica live e ambiente circostante presso il “Molinetto della Croda” in cui l’acqua giocava un ruolo importante.

RALPH: Devo dire che per noi suonare a Lago Film Fest è davvero un piacere ed un onore, lo volevamo molto e ci stavamo provando da diversi anni. Pensa che l’anno scorso volevamo fargli una sorpresa allestendo una zattera ed arrivare suonando direttamente dal lago, ma poi abbiamo desistito perché molto probabilmente saremmo affondati noi e la strumentazione…

Il contesto di Lago Film Fest è meraviglioso, un borgo di case in pietra, l’illuminazione soffusa, l’ambiente internazionale, il lago con i suoi suoni naturali ed i suoi animali, tutte cose che per i Ginah sono vitali, sì vitali; io personalmente non riuscirei a vivere in città, ho bisogno dei nostri spazi naturali, del verde, delle nostre colline che, seppure minacciate dalla macchina da soldi dell’uomo, sono ancora cariche di un’energia che sembra arrivare da tempi lontani portando con sé storie e creature del passato. Qualsiasi cosa faranno i Ginah a Lago Film Fest diventerà poesia, non certo per bravura dei Ginah, ma per la magia di questo luogo che tutto trasforma e riporta a tempi antichi.

Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini è curatrice della sezione corti per il Lucca Film Festival. Scrive di Cinema e Musica

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