Okland è un talentuoso trio torinese costituito da Andrea De Carlo, Luca Vergano e Jacopo Angeleri. Hanno all’attivo un solo EP, pubblicato lo scorso 14 aprile, ma le loro idee sono chiarissime. Difficile definire in una frase la loro musica se non cercando di individuare quello che c’è nel mezzo, tra l’amore per l’elettronica e l’attenzione ad elementi strumentali acustici. Nel loro affascinante percorso sonoro, gli Okland introducono anche suoni “alieni” alla cultura occidentale, recuperando la storia più profonda dell’afrobeat. Questo approccio non rischia mai di sconfinare nella retorica “world”, ma mantiene intatta la sua flagranza, grazie ad una dialettica continua tra il ruolo della tecnologia e lo spazio dedicato alla contemplazione della natura.
Tra groove ed emozione c’è spazio per una riflessione molto acuminata sul nostro ruolo nella società occupata dallo spazio virtuale che coinvolge anche l’elemento visual della band, con alcuni videoclip davvero molto belli.
Ospiti della seconda eliminatoria del Rock Contest Fiorentino, in programma oò 26 p.v. al Combo Social Club, li abbiamo intervistati per conoscere meglio il loro modo di immaginarsi la musica
Per consultare tutte le interviste e i contenuti speciali dedicati ai 30 ospiti del rock contest fiorentino, Indie-eye, media partner del festival, ha aperto una sezione specifica da questa parte: Rock Contest 2017, tutti i contenuti
Okland – Indra (live session at Astoria)
Tra un’esperienza e l’altra, facendo il conto siete attivi musicalmente da quasi un decennio, con percorsi diversificati e intensi. Come vi siete incontrati per il progetto Okland?
In realtà, 2/3 della band (chitarra e tastiere), seppur con progetti differenti, suonano insieme dall’età di 15 anni. Il progetto Okland in ogni caso è nato con l’arrivo di Jacopo alla batteria, scoperto su YouTube grazie ad una drum cover di Sex On Fire dei Kings of Leon. Lo abbiamo contattato, gli abbiamo raccontato la nostra idea davanti ad una birra e lui ha deciso di salire a bordo!
Il riferimento all’ottava città californiana ha precise connessioni artistiche?
Ci piaceva l’idea che il nostro nome avesse una connessione con la natura e l’idea di chiamarci Oakland che significa letteralmente “terra della quercia”, ci sembrava adatta ed evocativa. Inoltre, uno dei primi collettivi di musica elettronica sperimentale era nato negli anni ’70 proprio nella città californiana. Ci riferiamo a “The League of Automatic Music Composers”. Allo stesso tempo, però, non volevamo legarci ad un luogo preciso. Così abbiamo deciso di eliminare una “a” e chiamarci Okland.
Torino. Quanto è importante per voi il tessuto creativo della città, forse la più importante in Italia per quanto riguarda la club culture e tutta la musica che ci gira intorno…
Fondamentale. La città ha subito profonde trasformazioni negli ultimi 10 anni ed è diventata una sorta di laboratorio creativo sia per gli artisti che vi operano che per i numerosi eventi e festival legati alla musica elettronica, i quali sono cresciuti fino a diventare punti di riferimento nel panorama internazionale.
La Torino architettonica e quella esoterica. Quanto influiscono questi due aspetti, consciamente e inconsciamente, sulla vostra musica?
Sicuramente Torino e la sua atmosfera influenzano tutta la musica che viene composta in generale in città. Noi Okland siamo particolarmente soggetti a trasformare elementi dell’ambiente in cui viviamo in canzoni.
Per quanto riguarda l’architettura abbiamo un aneddoto.
Celeno era nata inizialmente come “Factory” e l’intenzione originaria era di descrivere l’ambiente della fabbrica, dato che il nostro studio di registrazione in cui abbiamo prodotto i brani è molto vicino agli impianti Fiat. Solo in un secondo momento la fabbrica l’abbiamo trasformata nella realtà virtuale che si contrappone a quella reale, tema del pezzo. Ma l’architettuta di Torino, ovviamente, non è solo fabbrica ma anche eleganza, quella del centro, raffinata e colta. Potremmo azzardare che ciò si rifletta in parte nella nostra musica.
Per quanto concerne invece l’esoterismo, anche qui c’è un legame con la nostra attitudine compositiva. Quella degli Okland non è una musica da “primo ascolto”, va esplorata, vanno colte le sfumature, è necessario sviscerare l’ermetismo. Gli elementi nascosti sono il risultato nei nostri mondi inconsci che a volte persino noi stessi fatichiamo ad analizzare e comprendere, ma che generano le atmosfere magmatiche dei nostri brani.
Il vostro suono fonde club music e nu soul, trip-hop, elementi acustici e tessiture elettroniche. Quella dell’ibridazione sembra ormai una via imprescindibile, anche quando si recuperano suoni che appartenevano agli anni ottanta, novanta e via dicendo. Per voi che significato ha tutto questo?
Il nostro sound è semplicemente un intreccio di tutta la musica che abbiamo ascoltato negli anni. Nulla di più, non ci siamo fatti problemi a tirare fuori da noi stessi in modo sincero ciò che ci scorreva dentro.
Percussioni e batteria “reali”, oltre ad un tessuto che lancia un ponte verso l’africa occidentale. Da dove arriva l’incontro con un cordofono come la Kora, utilizzato nella stratificazione sonora della vostra musica?
L’incontro con la Kora deriva dalla passione di Luca per l’Afrobeat, un genere denso di significati lirici e ricchissimo di idee musicali a tratti naif, a tratti molto complicate, considera che molti tempi dei brani sono sconosciuti a noi Occidentali, abituati principalmente ai semplici 4/4. Oltre a questo L’Africa occidentale, dove è nato l’Afrobeat, da Fela Kuti in poi, offre strumenti affascinanti quali la Kora. La cassa di risonanza di questo strumento è costituita da una mezza zucca svuotata e ricoperta di pelle di animale, di mucca o di antilope. Sulla cassa è infisso un manico di legno da cui partono 21 corde che si inseriscono, in due file parallele rispettivamente di 10 ed 11 corde, su di un ponticello perpendicolare al piano armonico.
Luca ne ha acquistata una qualche anno fa, e il pezzo nato da un suo arpeggio, poi trattato per renderlo consono al mondo elettronico degli Okland.
Nonostante questo il vostro non è un approccio “world”, ma saldamente ancorato al contesto urbano…
Certamente. Okland è intriso della realtà in cui viviamo, quella urbana. Siamo molto aperti a contaminare la nostra musica con strumenti e sonorità diverse dalla nostra ma rimaniamo ancorati al mondo che viviamo e alle ispirazioni e gli input che esso ci offre.
Il rapporto natura e tecnologia vi sta a cuore, e nella mappatura che abbiamo fatto costantemente in quasi quindici anni di attività giornalistica, abbiamo verificato che gli ultimi cinque hanno intensificato questo tipo di relazione; per voi come si configura, anche in termini tecnici ed espressivi?
Questo rapporto tra realtà virtuale e natura ci sta a cuore perché il tema condiziona la vita di tutti noi.
Ormai viviamo in un mondo in cui una realtà parallela, quella virtuale, sempre di più condiziona le menti umane. E’ necessario, dunque, sviluppare una saggia coscienza di se stessi per non farsi assorbire ed utilizzare la tecnologia, e non “farsi utilizzare”. Sembra banale, ma la cosa non è affatto scontata. Il mondo virtuale tende sempre di più a sovrapporsi pesantemente alla vita vissuta, condizionando sensazioni, emozioni, pensieri.
La natura per noi è l’elemento che pone un freno a questa deriva. Ci ricorda che la mente umana è facilmente soggetta a condizionamenti deturpanti e che è fondamentale ritrovare la purezza della vita. La sua funzione dunque, è catartica e costituisce lo spirito dei nostri brani, ne colora l’atmosfera.
Quindi ogni tanto andate a correre al parco, in mezzo agli alberi!
Potete dirci qualcosa in più del featuring di Deb, ospite in “Dive” ?
Mah in realtà è una collaborazione che è nata in maniera molto spontanea. Deb è venuta in studio da noi
a registrare alcuni suoi brani suonati con l’hang, si tratta di quello strumento percussivo circolare che produce un suono molto caratteristico. Durante le riprese, canticchiando, ci ha lasciato intendere di avere una vocalità molto interessante. Le abbiamo così chiesto di improvvisare delle parti vocali, più o meno guidata da noi, sulla
allora priva di voci “Dive” e lei si è dimostrata entusiasta della cosa, ecco qui.
Okland – Máni – Dir: Berru
Avete realizzato già due videoclip assolutamente sopra la media. Il primo è Màni. Una “quest” in soggettiva ambientata dentro una foresta, dove la tecnologia scandaglia la natura e trova un volto digitale ricombinato dal collage di diverse fotografie. Raccontateci il concept, dove lo avete girato e soprattutto chi è Berru, il regista che lo ha realizzato insieme a voi
Ti ringrazio per il “sopra la media”. Berru è un giovane regista e videomaker, oltre che amico di vecchia
data. Lo abbiamo investito di questa responsabilità perché sapevamo che sarebbe riuscito ad entrare in
empatia con la canzone ed a darle la giusta forma visiva.
Il video racconta di una sorta di viaggio pirandelliano che ha un inizio, uno svolgimento ed una fine
all’interno dello stesso. I collages dei volti rappresentano in un certo modo il rifiuto della persona come
individuo e portano alla frantumazione dell’io che si dissolve completamente nella natura, li dove tutto ha
avuto inizio. “Mani” inoltre nella mitologia norrena è il Dio che guida il carro che trasporta la luna, se ci fai caso alcuni frames nel video rimandano proprio a questo collegamento.
Okland – Celeno – Dir: Wiseman
Il secondo video, “Celeno”, è realizzato da Samuele Franzini, aka Wiseman di cui avevamo già visto il bel video realizzato per Verano, il progetto di Anna Viganò. Al centro ancora una volta la geografia urbana che si dissolve a contatto con quella interiore, mentre una figura femminile rimane al centro di questa esplorazione tra esterno e interno. Nel vostro caso il risultato, visivamente e filosoficamente, ci è sembrato molto più radicale. Potete parlarcene
Si anche qui è presente questa sorta di dualismo. Mi rifaccio nuovamente al discorso della mitologia
che è un po’ il trait d’union di tutto l’Ep. “Celeno” è, nella mitologia greca antica la personificazione della
tempesta e delle folate di vento. Il messaggio nel brano, rappresentato anche nel video risiede appunto nel
tema della dissoluzione dell’essere umano nel mondo digitale.
Una curiosità di questo video è quella di aver utilizzato una Kinect (quella dell’XBOX) per tracciare i contorni
di Margherita, la ragazza nel video, digitalizzandone l’immagine ed astrandola così dal contesto reale,
naturalistico precedente e catapultandola in questa città digitale.
Rock Contest. Il concorso per talenti emergenti più importante della penisola. Non solo per una questione di fama e prestigio, ma per la concreta costruzione di una rete creativa che risulti davvero utile per gli artisti coinvolti. Che ne pensate e perché avete scelto il concorso fiorentino per continuare a promuovere la vostra musica?
La risposta è già in buona sostanza contenuta nella domanda. Una giuria prestigiosa, un’atmosfera
fresca e giovane aperta a nuove contaminazioni sonore o almeno così ci è sembrato prestando attenzione
alle proposte musicali che vi partecipano assieme a noi. Poi beh, come ogni artista abbiamo interesse che
la nostra musica sia ascoltata dal maggior numero possibile di persone e questo contest ci è sembrata una
“vetrina” interessantissma; ci sentiremo a casa.