rOMA è il salernitano Vincenzo Romano, musicista attivo dalla fine degli anni novanta legato alla nuova scena rock italiana di quegli anni, ma anche al cantautorato più impegnato e allo stesso tempo venato da intima malinconia.
È del 2004 la sua prima esperienza di rilievo, vengono infatti fondati i C.A.T.T.U.R.A. con i quali acquisisce una grande esperienza live fino al primo demotape del 2007. L’anno successivo la band si scioglie e Vincenzo intraprende un lungo percorso di scrittura solista fino alla pubblicazione di alcuni inediti in forma autoprodotta intorno al 2012.
Da questo momento in poi condividerà il palco con Omar Pedrini, Filippo Gatti, Daniele Silvestri, Steve Wynn, Giorgio Canali fino al recentissimo opening act per Bugo.
Paolo Messere della Seahorse Recording gli consentirà di registrare il primo album solista intitolato “Solo posti in piedi in paradiso“; undici tracce composte nel 2017 sotto il segno dell’autobiografia, ma assolutamente rock, potenti, rumorose e legate alle sonorità delle band che hanno fatto la musica nei seminali anni novanta.
Da questo punto di vista, se la scrittura di rOMA rimanda a quella cantautorale di De Andrè e Giorgio Canali, le affinità elettive rimangono semplicemente una linfa da cui attingere per creare un suono crudissimo, rabbioso, urgente e assolutamente originale
Ospite del Rock Contest di Controradio per la seconda eliminatoria del noto concorso fiorentino in scena il 26 ottobre p.v. al Combo Social Club, lo abbiamo intervistato.
Per consultare tutte le interviste e i contenuti speciali dedicati ai 30 ospiti del rock contest fiorentino, Indie-eye, media partner del festival, ha aperto una sezione specifica da questa parte: Rock Contest 2017, tutti i contenuti
Dai C.A.T.T.U.R.A. a “Solo posti in piedi in paradiso” ne è passato di tempo, ma non hai mai smesso di scrivere e di scavare nella tua anima, fino a rendere il suono sempre più scabroso, urticante, ma anche pieno di calore ed onestà. Questa dimensione semplicemente rock è quella che preferisci, perché?
Assolutamente si. È una dimensione che mi accompagna da sempre ed è quella con cui mi trovo più a mio agio. Onestà è un bel termine e in fatto di scrittura credo di esserlo sempre stato con me stesso. Non ho mai cercato consensi in quello che scrivevo, ma semplicemente il fatto che funzionassero per me è sempre stata la mia vittoria.
Questo suono come lo hai raggiunto, sia in termini produttivi, sia per i musicisti che hanno collaborato con te?
È un po’ che ci lavoro su, da quando i brani del disco erano solo dei provini. Poi il massiccio impegno in studio è stato decisivo a trovare la formula definitiva. I musicisti che suonano attualmente con me mi hanno dato un grande mano poiché hanno preso parte agli arrangiamenti e allo sviluppo del suono.
La produzione di Paolo Messere che contributo ha portato al tuo suono?
Paolo è un produttore attento oltre che una persona molto sensibile. Il suo intervento è stato accurato e di gran gusto. La cosa che mi ha colpito positivamente è che non ha tentato per nulla di snaturarmi. Abbiamo raggiunto i risultati insieme attraverso il confronto senza mai forzare nulla. Il fatto di sentirmi libero di agire e proporre ha contribuito al risultato finale che è esattamente quello che volevo.
Seahorse recordings è un’etichetta che pubblica molte cose diverse, senza alcun preconcetto, come ti trovi in questa casa?
Probabilmente di meglio non poteva capitarmi. Avendo a 35 anni e idee molto chiare è stato di grande importanza avere una struttura che, come dicevo prima, mi ha lasciato libero di fare e sicuramente il fatto che dia spazio a progetti diversi non può che essere stato un bene.
C’è molto rock americano nella tua scrittura, quello senza mediazioni degli anni novanta. È un periodo di riferimento importante per te?
Direi decisivo. È vero che lo stile di scrittura si modifica nel tempo ma è anche vero che i riferimenti ci sono tutti, appartenendo a quella scuola dei “90” in termini di ascolto. Poi è sempre e anche un discorso soggettivo e relativo al carattere, alla sensibilità.
Scrivi delle liriche molto dirette, come un pugno, ma levighi la parola in una forma simbolica suggestiva. Come riesci a bilanciare questi tre aspetti della scrittura: l’osservazione della vita, anche quella intima e amorosa, l’astrazione e poi la traduzione in qualcosa che possa colpire, ferire, toccare.
Io non so spiegare com’è che avviene questo processo. La scrittura è un fatto che mi appartiene da sempre. L’attimo in cui senti il bisogno di fermare tutto su un foglio è appunto un attimo, non sei lucido. È chiaro che ciò accade quando è arrivato il momento di svuotare, vomitare quello che hai accumulato. Tutto deriva sempre da un’esperienza anche solo in termini emozionali. Poi resti tu.
“Posti in piedi in paradiso” è il titolo di un film di Carlo Verdone, con un tema molto preciso, perché inquadra con sensibilità un mondo maschile che cade a pezzi e che viene lasciato in solitudine. C’è affinità con il tuo primo album, anche a partire dal titolo, quasi simile?
L’aggiunta del “solo” davanti rende tutto ancora più disilluso, astratto. Più che nella tematica credo che nella metafora ci sia affinità. Chi cade a pezzi qui è ognuno di noi, lasciato solo o fattosi da parte, non ci sono sprazzi di luce ma, in fondo, proprio in fondo c’è una sola e unica speranza ed è quella di credere nella bellezza. Poche cose ci salveranno e probabilmente sono quelle che già abbiamo intorno ma come sempre ce ne accorgiamo tardi.
Ci ha colpito molto il videoclip de Le Dame e La luna diretto da Rocco Galluzzi dove sei coinvolto come produttore esecutivo e soggettista, oltre che per il casting. Ha la struttura di un cortometraggio, come quella che ai tempi di Jazzin’ For Blue Jean si sarebbe chiamata una “Long Form”, qui più contratta e con i suoni diegetici che interagiscono con il brano. Di chi è stata l’idea, come ci avete lavorato e che riscontri ha avuto?
Tutto è partito da una mia idea che poi abbiamo sviluppato insieme a Rocco. Abbiamo voluto assolutamente dare questa struttura al clip. Il taglio è evidentemente cinematografico con una storia che non finisce ma resta aperta a qualsiasi interpretazione (a breve il seguito). È stato divertente anche girarlo poiché abbiamo trovato situazioni climatiche avverse ma che hanno reso un effetto naturale per le scene esterne. Ottimi feedback sono arrivati ma ovviamente la struttura così lunga, oggi forse cozza con un mondo “social” che predilige contenuti virali, rapidi e di facile interpretazione. Ma pur sapendo questo ce ne siamo sbattuti altamente.
rOMA – “Le Dame e la Luna” – Ideato da Vincenzo Romano, Regia, Rocco Galluzzi
Sono importanti per te videoclip e immagini, soprattutto adesso, per veicolare la tua musica con un linguaggio diverso?
Come dicevo prima non lascio nulla al caso. Riconosco che oggi quando ti auto-produci è veramente difficile produrre un clip originale e di qualità. Ma il pubblico ha bisogno di contenuti alternativi, nuovi e di impatto ed è quello che cerco di proporre con i clip. Non basta suonare il brano in playback. La musica ha bisogno di appoggiarsi a questi mezzi per parlare, viaggiare che poi è quello che mi interessa di più, il viaggio. Voglio che ci si possa fare un viaggio all’interno della storia che si racconta e calarsi dentro… poi a chi dice che il clip sia troppo lungo beh, ascoltate Rovazzi.
Come sarà il tuo set per il Rock contest, chi sono i musicisti che ti accompagneranno sul palco?
Saremo in trio che ormai è la formula che ho scelto per i live full band. Alla batteria: Benito Borriello e al basso: Damiano Corrado.
Il rock contest è una manifestazione importante, ma al di là della reputazione, ha una capacità concreta di mettere in relazione l’industria con i talenti, creando una filiera funzionale. Cosa ne pensi e perché hai voluto esserne parte?
È un’occasione che voglio sfruttare. Dopo l’uscita del disco ho continuato a scrivere e sarà il posto giusto per far ascoltare questi inediti. Il rock contest è un fatto serio e ci vengo per divertirmi ma per fare anche molto rumore.
La Scheda di rOMA sulla pagina ufficiale del Rock Contest 2017