Souvlaki è Nicola Piccinelli. Musicista bresciano a tutto tondo. Utilizza il computer e l’elettronica, ma non vuole essere confuso con la scena club. La sua musica è un metissage colto di moltissime cose, ma il risultato è personale e con un’identità molto precisa. Coadiuvato spesso dalla voce di Folkie, talentuosa interprete di Asolo, spazia dall’ambient ipnotico degli HTRK all’anima più calda di Banks e della primissima Jesse Ware.
Souvlaki è un alchimista e nel 2018 pubblicherà il suo primo EP. Nel frattempo sarà possibile ascoltare la sua musica sul palco del Combo Social Club di Firenze, in occasione della terza eliminatoria del Rock Contest Fiorentino.
Per l’occasione, gli abbiamo fatto alcune domande
SOUVLAKI feat. FOLKIE – INSIDE (Rework di un brano di Moby) il video di Luca Chiarini
Per consultare tutte le interviste e i contenuti speciali dedicati ai 30 ospiti del rock contest fiorentino, Indie-eye, media partner del festival, ha aperto una sezione specifica da questa parte: Rock Contest 2017, tutti i contenuti
Al di là del riferimento gastronomico, perché hai scelto un nome come “souvlaki”, per le varianti combinatorie del noto spiedino greco che consentono di cambiare gli ingredienti?
In realtà lo scelsi per via del secondo disco degli Slowdive, poi mi suonava bene, in seguito ho provato a dargli anche un senso, tutto sommato l’uomo è uno spiedino, pelle e carne attraversata dalle ossa come gli stecchetti degli spiedini. Non è molto convincente lo so. La tua riflessione su diversi abbinamenti degli ingredienti mantenendo il risultato sempre un Souvlaki è molto più convincente e forse vicino a come mi piace lavorare. Unire ingredienti diversi, provare miscele differenti, non fermarsi ad una miscela vincente, provare sempre nuove combinazioni; ha senso, grazie della dritta.
Prego, è un piacere! La tua attività di producer ha preso una direzione più definita dopo un lavoro che ti è stato commissionato per una mostra fotografia bresciana, cosa è cambiato da quel momento in poi?
Era la prima volta che realizzavo qualcosa di concettuale e soprattutto con una data di consegna. Dover scrivere in poco tempo diverse canzoni legate da un tema comune è stato molto interessante ed educativo. Poi la mostra non ha mai preso vita, ma questa è un’altra storia, comunque quel lavoro ha dato effettivamente vita al progetto. Avevo smesso da qualche mese con il mio gruppo precedente, era la prima volta che lavoravo e suonavo da solo, è stato molto difficile per me. Però da quel momento ho capito di aver trovato una dimensione nella quale riuscivo ad esprimermi e che tutto sommato come musicista non ero così scadente.
La tua città vive un fermento particolare per quanto riguarda la musica elettronica e la club culture, penso a nomi come Mattia Fontana, Corrado Bucci, ma anche alle vibrazioni che gravitano intorno ad un festival come “Brescia Repubblica Elettronica”. Questo contesto è stato importante per te?
Non sono un tipo da club, non ho legami con quell’ambiente e soprattutto dal vivo non faccio djset, non ne sono in grado, e comunque non suono con l’obbiettivo di far ballare e divertire la gente. Mi fa piacere che esistano eventi così nella mia città ma per quello che faccio ho capito che non è importante per me e anche loro hanno capito che non sono fatto per il loro pubblico.
Mentre l’inserimento nella raccolta “Burials Collection Vol.1” cosa ti ha portato?
Essendo stata la prima pubblicazione a nome di Souvlaki ha dato un piccolo aiuto alla mia autostima nonostante la pubblicazione sia avvenuta a mia insaputa (ride, n.d.a.) ma va bene così. Ormai le pubblicazioni musicali sui canali di streaming non servono a guadagnare, sono una vetrina, questo comporta che il costo di produrre un disco te lo ripaghi solo suonando dal vivo. Stare nel calderone del mercato musicale digitale ormai è propedeutico solo a quello.
Il titolo di quello che sarà il tuo primo EP è un vero e proprio manifesto: “I’m not a DJ, i’m a Computer-Aided Musician”, puoi spiegarci cosa significa per te e il tuo approccio creativo all’elettronica?
Non sei il primo che mi chiede del titolo del mio primo EP. La verità è che scrivere la propria biografia all’ultimo momento, in inglese, non essendo un copywriter può causare delle incomprensioni (ride, n.d.a.). La frase è a parte, non è il titolo però siccome un titolo ancora non c’è non è detto che non lo diventi. “I’m not a DJ, i’m a Computer-Aided Musician” è un modo di sottolineare come mi piacerebbe che la musica elettronica diventasse. Legare la musica elettronica al ballo, al divertimento è riduttivo ed è una cosa arretrata. Io lo faccio perché per me è stata la soluzione pragmatica ad un problema, il computer mi assiste nello scrivere, nel suonare, nel poter suonare da solo nonostante sia uno strumentista non eccellente. Quindi il punto non è essere indie-elettronico, pop-elettronico o altro, io faccio musica e uso il computer e nonostante questo posso comunque annoiarti.
Ricorre il featuring di Folkie nei tuoi brani, puoi parlarci della collaborazione con la cantante di Asola, che mantiene un progetto completamente diverso dal tuo, tra Jazz. Folk e cantautorato?
Penso ci sia sintonia nonostante i generi musicali personali diversi e questo per me è fondamentale. Lascio sempre piena libertà nelle scelte delle persone con cui collaboro, anche in studio ad esempio. Non mi piace dire agli altri cosa bisognerebbe fare o non fare, per cui la fiducia deve essere totale. Sarà per questo che alla fine suono da solo. Inoltre, pragmaticamente ci aiutiamo a vicenda andando in giro a suonare insieme.
C’è molto ambient, techno e trip-hop nella tua musica. In particolare, la componente soul sfiorata dai brani interpretati da Folkie guarda al pop di Jesse Ware e di Banks. È una dimensione che ti interessa sviluppare anche in futuro?
Dipende dai brani, da quello che succederà. Se i brani che nasceranno in futuro si presteranno ancora a questo e Deborah avrà ancora voglia sicuramente si, adesso sinceramente non ne ho idea, non ho piani.
Come sarà l’EP che stai preparando?
L’EP penso uscirà ad inizio dell’anno prossimo, sarà una sorta di punto fermo, un modo di dire quanto ho fatto fino a qui, poi si vedrà. Come dicevo prima non credo al mercato musicale, quindi lo faccio per me, perché sono vecchio e sono affezionato al concetto di cd.
C’è una giovane scena bresciana legata alle sonorità trip-hop, nu-soul, elettroniche con cui scambiare idee, collaborazioni, spazi creativi. Penso ai Kick_ per esempio, ospiti della scorsa edizione del Rock Contest e attivi nella tua città…
I Kick_ hanno suonato quest’estate al Clear Mountains Festival a cui quest’anno ho partecipato a livello organizzativo. Li ho sentiti live, mi hanno convinto, ho sentito anche i Red Lines (sempre di Brescia) forse meno elettronici ma pure loro interessanti. Quest’anno poi parteciperanno al Rock Contest altri gruppi bresciani. Attualmente però non sono collegato con quel giro, non frequento molto quell’ambiente e devo dire che in passato quella scena musicale ha avuto la tendenza all’autoreferenzialità e questo a mio parere rischia di farti interpretare la realtà in modo non oggettivo. Ad esempio a livello di elettronica, Halfred, anche se collegato più all’ambiente psy-trance e molto lontano dal mio stile, è un bel prodotto bresciano volto all’estero.
Il video di Inside ha un approccio interessante, sono quadri ambientali tra città e natura, filmati con una qualità quasi pitto-fotografica. Lo hai realizzato insieme a Luca Chiarini, puoi dirci quali ruoli creativi avevate nel contesto della clip?
Con Luca abbiamo deciso di fare quel video clip per un suo esame di regia all’accademia di Brescia e perché Deborah (Folkie) voleva realizzare un video del rework di Moby. L’idea dei piani fissi è di Luca, quasi tutte le ambientazioni idem, io ho partecipato all’enorme brainstorming iniziale, ho insistito per avere le grandi dosi di blu e ho lanciato il sasso in acqua! Abbiamo girato tutto in una giornata. In panda, in giro per la provincia (Montichiari, Carpenedolo, Idro, Bagolino, Salò, Brescia, Manerba) mangiando crostatine all’albicocca! è stato molto bello.
Cosa ti aspetti da questa edizione del Rock Contest, non solo in caso di vincita ovviamente, pensi sia un’esperienza di valore per un musicista come te?
La vittoria sarebbe un grande aiuto alla produzione del mio primo EP! Dato che però parto sempre battuto e pessimista, la prendo con spirito olimpico: spero di essere lo Steven John Bradbury del Rock Contest.