venerdì, Novembre 22, 2024

2016, un anno di Conversazioni: Ipse dixit, il meglio delle nostre interviste

Lo scorso 7 febbraio le interviste di indie-eye hanno compiuto dieci anni, se consideriamo come prima intervista effettiva quella fatta con i Devics ( Dustin O’Halloran) e pubblicata il 7 febbraio del 2006.

Sin dal suo varo ufficiale indie-eye ha puntato moltissimo sulla documentazione. Video, audio, interviste tradizionali.
La documentazione, più di qualsiasi giudizio, è un percorso a ritroso sulle intenzioni che hanno dato origine ad un’opera della creatività e dell’ingegno. Nelle parole dell’artista, ponderate, umorali, ma anche irriconoscibili, c’è qualcosa che sfugge e che definisce un percorso, a volte in modo impietoso, più di qualsiasi recensione. A venir fuori allora non è solamente  l’universo creativo dell’artista interpellato, quanto le possibilità che questo stesso universo reagisca e si modifichi a contatto con i veloci cambiamenti della tecnologia, del mercato, della voglia di conoscere e di approfondire, quella personale e quella del pubblico di riferimento. 
Talvolta, oltre all’entusiasmo di chi non abdica e riesce ancora ad osservare la realtà con il necessario stupore infantile, ci è capitato di documentare una frizione, uno scarto, un dramma rispetto ad un contesto che  è diventato tragicamente inafferrabile.

In quel momento abbiamo capito che documentare nel modo più efficace non è arrivare primi, non è ingaggiare una gara per stabilire chi è più intelligente, non è parlare addosso al proprio interlocutore. Documentare significa mettersi nella modalità dell’ascolto.

Abbiamo scelto per voi le migliori frasi, le migliori riflessioni, le migliori considerazioni fatte dagli artisti intervistati nel 2016 su questi spazi.

Il risultato è una lettura emozionante, sorprendentemente organica anche se costituita da frammenti che non comunicano necessariamente tra di loro.

Ipse dixit – 2016

Cesare Malfatti

Quando ho iniziato eravamo già nel pieno della crisi che ha coinvolto la vendita del supporto fisico. Fin da subito volevo inventarmi qualcosa che potesse dare un valore aggiunto all’opera fisica. La cosa che più mi piace nel confezionare i dischi è la possibilità di intestarli alle persone che richiedono l’album, come se il lavoro fosse espressamente fatto per quella persona. Dal mio punto di vista, spero che questa attitudine possa portare le persone ad essere ancora più soddisfatte nel ricevere il supporto fisico, oltre alla musica stessa. La mia speranza è che l’oggetto possa convincerle a spendere qualche euro per avere qualcosa di bello e non il solito CD tutto di plastica. Leggi L’intervista integrale.

Oliver Coates
Mi piacciono tantissimi compositori, i miei ascolti si spostano in continuazione. In questo momento amo più di qualunque altra cosa la poetessa Alice Oswald e il suo poema Memorial. Ascolto la sua lettura dell’opera. Poi ascolto musica Mbira dallo Zimbabwe. Non sono sicuro del fatto che mi piaccia l’idea occidentale del singolo genio compositivo perché penso che la creazione di musica sia frutto di interazioni tra complessi strati del tessuto sociale e di cooperazione. Leggi l’intervista integrale

Steven Lippman

Può sembrare insensibile, ma penso che sia sempre ridicolo guardare alle celebrità per cercare risposte profonde sulla vita. Questo non significa che non abbiano qualcosa di valido da aggiungere su questioni di interesse collettivo, oppure che i migliori non possano essere fonte di ispirazione attraverso il loro talento, sto solo dicendo che la loro fama non assegna a quelle idee un valore ulteriore. Leggi L’intervista integrale

Tommaso Cerasuolo – Perturbazione
Ci ho messo quindici anni a capire che quello sul palco e quello nelle canzoni non sono io, ma che è una performance. Non è detto poi che quella non si nutra di quello che tu sei veramente, ogni attore ti saprà dire che per scene particolari va a toccare certe sue corde, che solo lui sa far vibrare, anche se non è detto che corrisponda esattamente a quello che sta inscenando. Noi con la nostra ingenuità e il nostro orgoglio, forse anche con un po’ di presunzione, pensavamo invece di essere al centro di tutto. Ora abbiamo capito che non è così. Anche Sanremo ci ha aiutato a capirlo, perché lì hai più sottomano la sensazione di essere un ingranaggio, che sei sostituibile facilmente, eppure sei tu e puoi fare la differenza per te stesso. Leggi l’intervista integrale

Laibach
Federico Fellini diceva solitamente che un linguaggio differente è una visione differente della vita. Ogni linguaggio è la sua melodia specifica, il suo ritmo e significato. Questo è il motivo per cui amiamo utilizzare lingue differenti all’interno di contesti differenti. E questo può produrre risultati molto diversi. La vita e il linguaggio sono entrambi sacri. L’omicidio e il verbicidio, che è il violento trattamento di una parola con risultati fatali per il suo significato legittimo, che è la sua stessa vita – sono entrambi proibiti. Il massacro dell’umanità, che è il significato del primo, è lo stesso della risata di un uomo, che è la fine dell’altro. Sono questi i parallelismi linguistici che preferiamo. Leggi l’intervista integrale

Esterina
Quando posso cerco di creare personaggi che abbiano delle caratteristiche e delle peculiarità di persone realmente esistite ma che possano trasformarsi in topoi di vita vissuta. La malinconia che senti non è solo la malinconia di quell’episodio particolare della canzone, ma anche la malinconia di un mondo che si viene a creare quando le relazioni finiscono, quando non funzionano come vorresti, quando non iniziano. Leggi l’intervista integrale

Sara Lov
Penso che  ogni tipo di arte, musica o film o altro, mi influenzi, che alzi i miei standard riguardo a cosa voglio fare. La grande arte ti ricorda quanta bellezza ci sia e si possa raggiungere, ti spinge a cercare di essere altrettanto grande. È giusto mantenere alte le aspettative su se stessi e su ciò che si fa. Leggi l’intervista integrale

Fantastic Negrito
Noi siamo artisti, musicisti, non vogliamo fare politica. Al massimo possiamo dare il nostro punto di vista, raccontare storie senza la pretesa di riuscire a cambiare la prospettiva delle cose. In generale ritengo che la natura dell’uomo sia tesa alla prevaricazione e allo sfruttamento, come se fosse qualcosa di naturalmente insito nell’essere umano. Leggi L’ìntervista integrale

Blonde Redhead (Amedeo Pace)
La spinta è quella della crescita, ci sono aspetti dell’infanzia che creano quel senso di nostalgia per ciò che è stato, ma allo stesso tempo non puoi continuare a cercare di riviverle perché non funziona e lo stesso per quanto mi riguarda accade con la musica. Leggi l’intervista integrale

Pierpaolo Capovilla – Il Teatro degli Orrori
Per come la vedo io, Spotify e Applemusic andrebbero portati in tribunale, costretti a pagare gli autori, e fatti sparire per sempre. A causa di questa gente, internet non è più un’occasione di libertà, nella quale ad esempio chi non ha soldi trova comunque il modo di ascoltare e vedere ciò che vuole, ma il regno di un manipolo di tycoon che si sono appropriati di ciò che non era e non è loro. Dei ladri, per capirci. Auguro loro ogni virus possibile, e spero che i loro server s’inceppino ogni giorno, ogni ora ed ogni minuto, per sempre. Prego il padreterno di affondare i loro yacht, precipitare i loro jet, distruggere le loro ville e piscine. Amen. Leggi l’intervista integrale

Vintage Trouble
Portiamo lo stesso fuoco e la stessa passione sia davanti a 1000 persone che davanti a una folla da 100000. Uno show da headliner però è più lungo e può essere un po’ più intimo per sua natura. I nostri concerti come gruppo spalla sono quasi sempre stati davanti a folle enormi, dove una band deve progettare un po’ di più il suo show per raggiungere anche chi sta in fondo, e ha solo una piccola finestra di tempo per catturare l’attenzione del pubblico. Non preferiamo un tipo di concerto rispetto all’altro, entrambi hanno una loro allure. È bello mescolare le due cose come abbiamo fatto finora. Una cosa che abbiamo fatto per cercare di creare un feeling intimo anche davanti a tanta gente è stata mantenerci aderenti alla nostra impronta: la band è ancora settata come se dovesse suonare in un club. Leggi l’intervista integrale

Steven Wilson
Quando scrivo i miei personaggi, per renderli credibili e più veri,  penso ai replicanti di Blade Runner, con le memorie dei loro creatori innestate. È un’ottima analogia per me, perché innesto la mia esperienza personale, la mia storia infantile, le mie memorie nei personaggi immaginari delle mie canzoni. Guarda la video intervista integrale.

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Redazione IE
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