Frutto del comprensibile – ma non necessariamente prevedibile – colpo di fulmine tra due cavalli di razza come Snoop Dog (pseudonimo che ha segnato in maniera indelebile le classifiche hip hop degli ultimi due decenni) e Dâm-Funk (ennesimo prodigio della preziosa scuderia Stones Throw), 7 Days of Funk si pone come ideale crocevia su cui convergono le tradizioni P-Funk e G-Funk. Lo pseudonimo di Snoopzilla usato da Dog, le ospitate vocali di Bootsy Collins e la mera struttura ritmica/melodica dei brani non lasciano spazio ai dubbi: il progetto intende aggiornare al presente le sonorità che hanno segnato a fuoco i background dei due artisti, omaggiando la magia di un’epoca e la follia dei suoi protagonisti. L’album ripropone infatti quella particolare declinazione di black pride che affermava la propria natura attraverso l’eccesso, il travestimento, la propensione al ridicolo, la sessualità dirompente, la glorificazione delle componenti tecnologico-fantascientifiche del suono. Ma non si pensi solo a George Clinton e alla sua mothership connection; in tale contesto l’eredità di pionieri anni ’80 come Rick James o Cameo è sicuramente qualcosa di cui tener conto. Proprio dalla super hit Word Up! sembrano mutuate le punitive batterie elettroniche programmate da Dâm-Funk; e non a caso, dal vivo, l’artista si avvale di una keytar come faceva Kevin Kendrick. Tra beat incalzanti, sinuose linee di sinth-bass – che devono tanto al succitato Collins quanto al main theme di Assault on precint 13 – tastiere spacey e uno Snoop insolitamente sentimentale, si consuma un viaggio interstellare avvincente anche senza l’aiuto di sostanze dopanti. Che, sia chiaro, in questo frangente non guastano. May the funk be with you.