L’EP Vegetable che anticipava di pochi mesi il secondo lavoro sulla lunga distanza dei garagers greci già ci aveva fatto capire che aria si sarebbe tirata; psichedelia primitiva, sciamanica, drogata e scurissima. Roba che rifugge da tutti i clichè legati al Garage Rock, insomma.
L’evoluzione degli Acid Baby Jesus da “semplice” band che faceva il verso – peraltro efficacemente – alla nuova andata Lo-Fi garage dei vari Black Lips e Demon’s Claws a un mostro weird psych di ottundente ferocia ha del sensazionale.
Difficile non restare affascinati dal magnetismo arcaico di un album come Selected Recordings, nonostante non faccia proprio nulla per risultare catchy, poiché le influenze Sixties Pop che contraddistinguono molte delle bands contemporanee loro affini qui vengono del tutto a mancare.
È piuttosto un’idea di Rock’n’Roll scarno, ipnotico e non convenzionale a guidare le intenzioni degli Acid Baby Jesus, unito ad una fascinazione per l’uso di strumenti tradizionali della musica folk del Mediterraneo.
L’alone di misterico e rumoroso calore psichedelico che avvolge tutte e undici le composizioni non rende però il disco troppo omogeneo, e questo è sicuramente un altro grande merito della band: si passa dalla trance psicotropa di brani come Diogenes, Ayahuasca Blues e la realmente inquietante Night Of Pan (forse il vertice del disco, con le liriche ispirate dai trattati di Aleister Crowley) al Country stonato di I’m Becoming A Man e You & Me, brani invece più legati alla nuova onda Lo-Fi Garage, per poi passare alla cover di Trouble Maker di Chrissy “Zebby” Tembo, musicista dello Zambia inventore dello Zamrock.
Le botte R’n’R di Who’s First e Omonia sono puro Boo Diddley sound affogato in una vasca di metadone e habanero; il groove malato e stranitello di Vegetable lo conoscevamo già, ma è sempre un bel sentire.
Selected Recordings è album riuscitissimo, uno dei migliori, nel suo genere, dell’anno che si sta concludendo.