Sì, in generale il pubblico italiano sa essere anche molto rispettoso di fronte alla sperimentazione. Mi viene in mente un episodio recente a proposito di tutto ciò: la settimana scorsa Michael Gira a Denver ha perso il controllo per un attimo, la gente chiacchierava sopra la sua musica e ha sbottato: “Shut the motherfucking fuck up! If you don’t want to listen go and read Pitchfork!”.
[Ridono]
SO: Direi molto calzante. Pitchfork non è male di per sé, ma credo tenda ad accentuare una visione troppo analitica della musica che vaglia: “Questo è fatto così, quest’altro in quest’altro modo, questo è interessante per questo motivo, quest’altro non lo è per altre ragioni…”. E la varietà di quel codice analitico impiegato negli articoli è troppo poco accentuata. È come se fosse un approccio matematico alla musica pop. In certi casi può essere buono: la musica pulita, ordinata e riconoscibile esiste ed è molto fico analizzarla in quel modo, ma in altri casi si finisce per perdere di vista tutta una serie di altre cose, probabilmente molto più antiche di tutto ciò. La musica è in circolazione da un bel po’ di tempo e non ha sempre avuto a che vedere con quei principi, ma più con il raccontare le storie, esprimere i sentimenti, farti muovere, danzare. È sbagliato secondo me filtrare la musica solo con il proprio modo di ascoltarla.
MS: Voglio dire, la critica è una parte molto importante del processo artistico, sia per chi crea che per chi ne fruisce, di questo sono convinto, ma è fondamentale che una parte della critica sia il commento di altri, che la rende parte di un dialogo più ampio. Il problema di Pitchfork è che al momento la gente lo considera una specie di vangelo, una parola definitiva su quello che sta accadendo. Non permette molto la conversazione, è unidirezionale, non circolare. Motivo per cui noi apprezziamo molto di più la ricezione, il commento della gente per cui suoniamo. Anche registrare è stupendo, ma molti potrebbero addirittura dirti che non è vera e propria musica, è più una serie di istantanee che tentano di catturare il momento. In questo senso l’improvvisazione è un atto di generosità nei confronti del pubblico, perché ti mostri vulnerabile ai loro occhi.
La critica ha spesso fatto fatica a descrivere le istantanee della vostra storia. Al di là del generale entusiasmo si è spesso detto che la vostra musica rifugge da definizioni nette in termini di generi e influenze. C’è un’influenza che ha fatto da filo conduttore dai vostri esordi ad oggi? Mi viene in mente che sul sito della Family Tree Records è linkato un video di Sun Ra Arkestra http://www.youtube.com/watch?v=9NJ2oXwWEvw.
MS: Nella storia degli Akron/Family, ma credo di poter parlare anche per gli Oneida c’è sempre stato un bacino molto grande di influenze e ispirazioni. La curiosità è il perno attorno a cui ruotano i nostri esperimenti. Ci sono di certo artisti che tutti noi abbiamo amato fin dal primo momento e che son rimasti fondamentali fino ad oggi, ma il modo in cui quelle influenze interagiscono con la nostra musica cambia di continuo. È più una questione di sensazioni: posso ricavare sensazioni nuove dai masters tanto quanto da una recente scoperta della musica spirituale del Marocco e così via. Ma ci sono al contempo influenze più letterali, macroscopiche che sono rimaste al centro: un senso della dimensione spaziale che viene dal suono psichedelico, il folk e lo storytelling, la tradizione del songwriting e della prospettiva individuale sugli eventi. (continua alla pagina successiva…)