Segnatevi questa data. 22 dicembre, Teatro Metastasio, Prato. Andrea Chimenti sarà accompagnato da un’orchestra di 40 elementi, quella de “I Nostri tempi” diretta da Edoardo Rosadini, oltre che da una band al completo (basso, chitarra tastiere e batteria) che vedrà sul palco alcuni membri dei Sycamore Age e con i quali Chimenti eseguirà dieci brani dal repertorio di David Bowie che dialogheranno con quello colto di Beethoven e Schumann. Un progetto voluto da Mario Setti di “Nuovi Eventi Musicali” e che rappresenta la versione espansa di uno show andato in scena il luglio scorso a Firenze presso il teatro del ‘900 dove lo stesso Chimenti eseguiva cinque brani di Bowie accompagnato da un quartetto. Musica del novecento quindi, senza alcuna barriera storico critica e alla ricerca di un equilibrio tra rispetto filologico e riscrittura.
Abbiamo raggiunto Andrea Chimenti via skype per una ricca e stimolante conversazione su questo progetto e sulle sue affinità elettive con la musica di David Bowie, a tre giorni di distanza dallo spettacolo pratese e a venti giorni circa dall’uscita del nuovo album di Bowie, l’attesissimo Blackstar
Hai acoltato Lazarus?
Si, secondo me è bellissimo. Sembra di sentire il Bowie di una volta, anche per la scelta dei suoni, davvero molto belli. Sono sicuro che Blackstar sarà un gran disco.
La passione per la musica di Bowie quando è cominciata?
Prima di avvicinarmi alla musica professionalmente venivo da ascolti prevalentemente classici. Bowie ha un po’ cambiato le carte in tavola e il primo disco che ho ascoltato era Diamond Dogs, con questa copertina incredibile realizzata da Guy Peellaert che mi sembrava in quegli anni completamente folle. Da quel momento ho cominciato ad ascoltarlo sempre più frequentemente
Poi sono arrivati i Moda e soprattutto “Canto Pagano” con la produzione di Mick Ronson, con lui vi siete mai confrontati sulla musica di Bowie?
Mick Ronson non ci parlava di quel periodo condiviso con Bowie, forse perché Bowie stesso nel frattempo era andato in altre e molteplici direzioni e quella fase era rimasta del tutto circoscritta, e questo nonostante la lavorazione di Canto Pagano ci abbia tenuto in strettissimo contatto con Mick per più di tre mesi. Di aneddoti potrei raccontartene molti tra cui uno dove lo sorprendemmo a lavarsi i capelli con il Last al limone: “Mick, ma puoi tranquillamente usare il nostro shampoo” e lui ci rispose che il Last al limone era assolutamente perfetto. Al di là degli aneddoti, forse l’unica volta in cui ci ha parlato del lavoro condiviso con Bowie era per quanto riguardava gli arrangiamenti di Life on Mars che dovevano essere ultimati velocemente e per i quali fu letteralmente chiuso a chiave dagli altri dentro lo studio affinché potesse ultimare il lavoro in una notte.
Quindi la tua “relazione” con Bowie in termini musicali comincia effettivamente con il lavoro fatto insieme al quartetto dell’orchestra da camera “I Nostri Tempi” per lo show allestito al Museo del 900 durante il luglio scorso?
C’è in realtà un precedente, ed è la registrazione di Ashes To Ashes per un progetto di Marco Maffei che uscì come Alpha States & Andrea Chimenti nel Marzo 2014, dove appunto ho cantato il noto brano di Bowie. Per quanto riguarda invece il progetto allestito al Museo del 900 e questo che andrà in scena al Metastasio il 22 dicembre, nasce tutto da un’idea di Mario Setti (N.d.r. Setti dirige da più di 15 anni NEM, l’associazione culturale Nuovi Eventi Musicali) nel voler combinare il repertorio della musica colta con quello di un artista importante del 900 come David Bowie, è una filosofia che ho sposato in pieno e che tende a togliere steccati, separazioni culturali e divisioni di ogni genere, fondendo insieme due mondi musicali diversi ma che possono integrarsi perfettamente. Con il quartetto “I Nostri tempi” per quanto riguarda lo show di luglio al museo del 900 abbiamo allestito cinque brani di Bowie. È sempre Mario Setti che mi ha chiesto di ripetere l’esperienza ma in un formato espanso. I brani di Bowie sono diventati dieci, all’interno di una serata dove ci sarà anche Beethoven e Schumann
The Alpha States & Andrea Chimenti: Ashes To Ashes
Avrai a che fare con una grande orchestra…
Si, è un’orchestra di 40 elementi più il gruppo al completo. A differenza dell’evento al museo del 900 qui ci sarà basso batteria chitarra e pianoforte. Mi accompagneranno sul palco Mauro Maurizi che è al basso, Davide Andreoni dei Sycamore Age alla chitarra, Francesco Chimenti cantante dei Sycamore Age nonché mio figlio e Marco Fanciullini alla batteria. Avendo dovuto lavorare a distanza, noi ad Arezzo e l’orchestra a Firenze, ci si è concentrati sopratutto sulla struttura dei brani facendo riferimento agli originali. Quindi il punto di riferimento principale sono proprio le partiture.
Un approccio filologico?
Non deve essere assolutamente l’atmosfera di una cover band, non ci interessa. Io come autore interpreto delle canzoni di Bowie. C’è un atteggiamento di tipo classico che parte come ti dicevo dalle partiture e che ci consente di riproporre un repertorio con un’attenzione diversa al materiale, rispettando sempre la scrittura originale
E il coordinamento di tutto il progetto come è avvenuto, anche in relazione ai risultati che volevi ottenere?
Una volta messi d’accordo su alcuni aspetti tra cui le tonalità, ognuno ha lavorato nel suo ambito mantenendo come riferimento le stesure originali. Coordinare un ensemble di quelle dimensioni per quanto riguarda le prove non è certamente semplice, ma abbiamo comunque fatto una prova con la formazione in quintetto e il giorno prima dell’evento del 22 dicembre faremo una prova generale di tutto l’insieme
Quali brani di David Bowie saranno inseriti in scaletta?
Si va da Space oddity arrivando fino a Where are we now? Il Bowie quindi più recente, senza includere brani da Blackstar perché non c’era assolutamente il tempo per poterci lavorare. Passeremo da brani come Absolute Beginners includendo alcune cose di Hunky Dory tra cui anche Life on Mars. Si è scelto quei brani che potessero rappresentare qualcosa di importante per me e per Mario Setti e che ci piacevano maggiormente. Senza andare a toccare quelle cose estremamente famose per esempio come Heroes. Nei confronti di alcuni brani c’è sicuramente quel timore reverenziale che non ti consente di avvicinarti con la stessa tranquillità. In questo senso abbiamo scelto brani più particolari come per esempio Fantastic Voyage da Lodger. Abbiamo dovuto includere quei pezzi dove in qualche modo erano presenti degli archi o una struttura orchestrale che ci consentisse di lavorare applicando l’approccio scelto.
L’adattamento della scrittura bowiana si è rivelato difficile oppure duttile?
Per la parte rock è stato abbastanza facile grazie anche ai musicisti che mi accompagnano. Il lavoro grosso è stato quella dell’orchestra. Marco Bucci ha fatto la trascrizione delle parti orchestrali, quindi un lavoro enorme. Dal mio punto di vista c’è stato un confronto diretto con la lingua inglese, considerato che da sempre sono abituato a cantare in italiano, quindi sicuramente una bella prova. Alla prima proposta che ho ricevuto da Mario Setti ero titubante, ma ho pensato che poteva essere una prova notevole e importante anche per calarmi dentro brani che ho sempre amato particolarmente, proprio per andarli a scardinare e a conoscerli dall’interno. E ho scoperto molte cose anche a livello di composizione. Un’occasione come questa ti consente di scoprire nuove cose che poi ti porti comunque dietro per le cose che realizzerai in seguito. È sempre così quando ti confronti con il repertorio di un altro autore. Hai la sensazione di aprire lo scrigno di un altro artista e andare a curiosarci dentro, una prassi molto diversa dal semplice ascolto. È quindi un’esperienza artistica importante ma anche una vera e propria esperienza di vita
Quasi un’operazione di riscrittura?
In un certo senso si, ma facendo molta attenzione al rispetto dell’originale
Qual’è il tuo Bowie preferito?
Il mio periodo preferito è sicuramente quello della trilogia berlinese. Bowie è in generale uno di quegli artisti da prendere come esempio per la sua capacità di reinventarsi e di osare. Non amo quei musicisti che una volta trovato un clichè lo ripetono ad libitum per tutta la loro carriera a volte diventando con il passare degli anni delle macchiette di se stessi, qui c’è qualcuno che è stato capace di rischiare fortemente e di distruggere se stesso una volta arrivato al culmine, interrompere le sue creature, pensa a Ziggy Stardust, e tutto questo per avviare una nuova storia. È segno di coraggio, credo sia l’essenza del vero artista (N.d.r. per una storia anche visuale dei “defacement” Bowiani, rimandiamo all’articolo “Nothing has changed: Mirror, Mirror” )
Tra il tuo modo di concepire l’arte e quello di Bowie mi sembra che ci siano dei punti di contatto, penso alla relazione che hai con il teatro e alla combinazione di altre forme espessive che eccedono il recinto del musicista, forse l’unica cosa che manca è il rapporto con la pittura e le arti visive….
La pittura tout court non è presente nella mia vita artistica, ma devi sapere che il mio primo lavoro per cui tra l’altro ho conseguito studi specifici, prima ancora di intraprendere la carriera musicale, era legato al cinema d’animazione. Ho fatto questo lavoro per anni, il mio sogno era quello di produrre delle serie televisive che non sono mai riuscito a fare. Lavoravo con il disegno animato tradizionale e lo stop motion, senza ovviamente l’ausilio del digitale che era ancora lontano, ma utilizzando pellicola 16mm, era davvero il mio sogno di vita. Ho studiato ad Urbino, cinque anni nell’ambito del cinema di animazione, quando ho iniziato nei primissimi anni ottanta è arrivata tutta l’ondata dell’animazione giapponese a costi bassissimi e tutto il cinema d’animazione italiano ha vissuto una grande crisi perché le nostre produzioni erano troppo costose, tutto si è quindi riversato nel mondo della pubblicità per poi scomparire definitivamente anche da li. Cavandoli, Bozzetto, lo studio 4 a Firenze che produceva i cartoni animati dei fratelli Pagot tra cui il Draghetto Grisù che voleva fare il pompiere, animato proprio dallo staff di Italo Marazzi. Ho avuto l’occasione di lavorare con un grande personaggio fiorentino, Massimo Indrio, l’autore dei flipbooks, quelli che hanno origine nei primi anni del novecento ma che Massimo rilanciò riproponendoli attraverso la Giunti. Erano quei libri che sfogliati producevano l’illusione del movimento e quindi un’animazione tout court. Con Indrio ho realizzato un cartone animato che si intitolava “Le strabilianti avventure dell’esploratore Maccherone”, una puntata pilota di quattro minuti sviluppata in un anno, fu proiettata al festival di Lucca (N.d.r. è dal 1966 che Lucca ospita il cinema d’animazione, attraverso successive incarnazioni che hanno portato a Lucca Comics & Games), dietro di noi sedeva Bruno Bozzetto che rivolgendosi ad un suo collega disse “però, niente male questo”. Quella frase ci ha dato la carica per diversi anni. Il cartone animato è stato davvero il mio grande sogno.
Allora è vero che il tuo sincretismo artistico è completo e che probabilmente sei l’unico artista in Italia che si può avvicinare al repertorio di David Bowie…
Ti ringrazio, posso dire che nel mio microcosmo Bowie mi ha sicuramente influenzato molto per questo suo modo di ricercare continuamente. E personalmente è sempre stato naturale non ripetermi mai sondando spazi espressivi sempre diversi
Tutto questo potrebbe diventare un disco tra riscrittura e omaggio?
Fose sarebbe troppo. Mi piacerebbe di più un lavoro sugli autori che mi hanno influenzato destinando uno spazio rilevante a David Bowie però un lavoro “inciso” e dedicato esclusivamente a lui mi sembrerebbe troppo, mi sentirei sicuramente a disagio
La serata al Teatro Metastasio come sarà divisa? la parte Classica sarà nettamente separata dalla proposta Bowiana?
Gli orchestrali faranno da filo conduttore entrando in scena e rimandoci fino in fondo. Dopo l’introduzione di Beethowen ci sarò io con la proposta dei brani di David Bowie e alla fine Schumann anche se non voglio dirti esattamente come sarà lo svolgimento esatto della serata, può darsi che l’ordine venga cambiato.
Sono previste repliche?
Me lo aguro , sopratutto per il grande lavoro svolto. Al momento si tratta di una data unica. Portare in giro 45 / 50 persone è un lavoro grosso dal punto di visto del cachet e delle spese, far dormire e far mangiare un ensemble di queste proporzioni è davvero molto complicato. Certamente c’è la possibilità alternativa del formato ridotto, con il quartetto, al momento è importante vedere cosa accadrà al Teatro Metastasio di Prato il prossimo 22 dicembre
Progetti imminenti?
Ti anticipo che dal 6 febbraio inizierà una tournee con Gianni Maroccolo e Antonio Aiazzi, è un progetto di Gianni dove io partecipo come cantante e dove eseguiremo un repertorio vastissimo che va dai Joy Division ai Marlene Kuntz
Una macchina del tempo anni 80-90?
Anche ma non solo, arriviamo fino alle ultime cose dove Gianni ha lavorato. È tutto il mondo di Maroccolo fino a vdb23/nulla è andato perso, il disco che ha realizzato con Claudio Rocchi, saremo in cinque e a seconda delle date ci saranno numerosi ospiti. Io canterò, Aiazzi sarà alle tastiere, Maroccolo al basso, Beppe Priotto al sitar e chitarra ma anche con altri strumenti come la viola nepalese, ed infine Simone Filippi, batterista degli Üstmamò