Non amo i concerti, mi ci vuole troppa concentrazione e le mie capacità cognitive sono fatte per la dispersione da deboscio, ho quindi raggiunto i compari per un cocktail dopo lo show di Marc Ribot, che mi dicono esser stato come un incendio inarrestabile in pieno deserto. E dell’oasi ha tutta l’aria il Tropical Pecci Bar allestito dietro la zona dell’orchestra, spazio accogliente con i colori tenui di un’illuminazione anni ottanta ed un enorme schermo in tela old style, ottimo per rifugiarsi da fuochi molto meno spirituali, come quelli accesi dal caldo torrido e nocivo di questi giorni.
Lo schermone accoglie le immagini proiettate di splendide californiane mentre con le go-pro agganciate alle tette si lanciano nei pericolosi amplessi con la tavola da surf, cercando l’onda perfetta; a un certo punto ci è sembrato che il proiettore fosse uno di questi vecchi RGB con tripla lente, perché i colori sparatissimi e forse un po’ sfalsati rompevano la tecnologia degli anni zero e delle videocamere ginecologiche, con una sana ingenuità anni ottanta. Commovente, carne inclusa.
Bar molto carino quello tropicale del Pecci, gestito da hipster barbuti che propongono prezzi onesti e al posto dei soliti scontrini ti allungano fisches arancioni molto cool.
Ma lo spettacolo vero è letteralmente esploso dopo venti minuti di permanenza, perché mentre il buon Ribot firmava autografi a fan over 40, la zona bar subiva l’invasione in massa di ragazzine barely legal pronte all’immersione alcolemica e armate di shorts, straordinarie zeppe alla Gene Simmons, cavigliere ammiccanti, laccature estreme, crescita ormonale anticipata, capelli perfetti, coroncine anni settanta, e una vicinanza assoluta a quel mondo Disney che ha perso completamente la via, preferendo i colori della vita.
Tropical Pecci Bar, la pagellina
[usrlist “Ambiente:5” “Aperitivi:5” “Barely legal Spring Breakers:5” “Rapporto qualità-prezzo:5” ]