Quella di Barbara De Dominicis è una figura molto particolare ed atipica. La figura di un’artista poliedrica ed instancabile, capace di passare con estrema naturalezza attraverso generi ed ambienti completamente diversi ma che il suo personale metodo riesce a condurre sul piano di un dialogo sincretico: che si tratti dei territori della sperimentazione; di quelli della ricerca sui paesaggi sonori o di un pop sofisticato, elegante ed inconsueto. Ideatrice e curatrice di eventi e progetti multimediali (Exquisite-What, La Reverie/La Sogneria, il recente Quasi.Memory); collaboratrice di artisti sonori e visivi come Mark Walters, Marco Messina, Elio Martusciello, Airchamber 3, Roland Quelven; cantante dai trascorsi anche mainstream (99 Posse) ed oggi metà del progetto improvvisativo Parallel 41, condiviso con Julia Kent (Antony and the Johnsons, Larsen), che ha prodotto anche un album (accompagnato dal documentario Faraway Close di Davide Lonardi) di recente pubblicazione. Cogliamo l’occasione per dialogare, un po’, con lei. Trovando, oltretutto, un’interlocutrice molto gentile e disponibile.
[ Foto di copertina Davide Lonardi ]
Quanto cambia il tuo approccio da un progetto all’altro?
Non ne sono certa: l’interazione con artisti diversi tra loro ha certamente un ruolo fondamentale. L’attitudine credo sia invece abbastanza costante, spesso mossa da una certa dose di inquietudine che agisce da catalizzatore.
Quanto Paralle 41 è diverso da Intermittenze?
Intermittenze è stato il frutto dei nostri primissimi e timidi incontri. A Parallel 41 è stata data una marcata connotazione psico-geografica. In più è diventato un lavoro su supporto; aver avuto la possibilità e la libertà di pubblicare un lavoro improvvisativo grazie ad una label lontana anni luce da banali logiche di mercato (parliamo della limpida label francese Baskaru) è un privilegio che a fatica va a braccetto con questo momento storico. Siamo estremamente riconoscenti ad Eric Besnard: ci ha supportato nella realizzare un lavoro che alla fine si è materializzato in un piccolo cofanetto cd/dvd.
I brani dell’album (Parallel 41) sono frutto di improvvisazione ma perlopiù, alla fine, giungono a delinearsi come vere e proprie canzoni. Da dove trai linfa per i testi che canti? Sono improvvisati anch’essi o scelti all’uopo, sulla suggestione dei suoni del momento, da un tuo personale canzoniere?
Abbiamo ritagliato, dalle lunghe sessioni di registrazione effettuate nel corso di un anno, le parti che ci sembravano avere un andamento più rotondo e compiuto; ma in tutt’ onestà non mi pare vi sia un’attitudine strettamente narrativa nel nostro dialogo sghembo, fatto di impalcature pericolanti e larghi indugi nell’ imperfezione. Ovviamente mi accollo tutte le imperfezioni!
Le parole? Sono sempre presenti e forse sempre troppe! Non credo all’ ispirazione come folgorazione improvvisa o forse semplicemente non sono ispirata! Nel mio caso immagino che siano il frutto di un senso di inadeguatezza, come spesso lo sono le parole, in più la scrittura legittima a cambiare di volta in volta il baricentro offrendo nuovi appigli. Nel caso di Parallel 41 ho cercato di assecondare ciò che i segni, i suoni ambientali, uno sguardo, suggerivano, pur attingendo ad un piccolissimo archivio fatto di quaderni in cui si addensano scarabocchi, piccole storie e sgorbi indecifrabili.
Quali sono/sono stati i tuoi riferimenti, le tue influenze musicali e non?
E’ ovviamente un ibrido. Potrei compilare elenchi di artisti (e non) che anche incosapevolmente mi hanno regalato qualcosa. Chubby Wolf, Maya Deren, Bresson, Djuna Barnes, The Doors. Nel pop, nel punk ,nelle avanguardie cosi come nella musica classica ci sono fili luminosi da seguire. Ho iniziato cantando delle cover e questo mi ha insegnato ad ascoltare cose che erano distanti anche anni luce dal mio gusto personale.
La nostra memoria acustica e retinica è fin troppo densa di informazioni: forse dovremmo/potremmo immaginare l’atto creativo (ammesso appunto che di tale si tratti! ) più come un gioco di costruzioni, di collage forse, che di vera e propria invenzione…
Come è nato il rapporto con Julia Kent? Cosa vi ha avvicinate?
Dei carissimi amici mi hanno iniziata alle sue trame sonore; come non restare intrappolati nelle maglie di quel violoncello la cui voce, come in uno stato di grazia, si mantiene in una condizione di oscillazione perpetua tra fragilità e potenza. Un buon margine di casualità e la complicità della rete hanno fatto si che ci incontrassimo. La conoscenza reciproca è avvenuta lentamente assecondando il tempo dell’esplorazione musicale
Parallel 41 mi dà l’idea, in una volta, di una affermazione ed una negazione identitaria: Napoli e NYC al contempo come due luoghi ben distinti e come un unico spazio reale/irreale.
Sia New York che Napoli rappresentano un accumulo: retinico, acustico, olfattivo. Una sovrapposizione di elementi talmente carica da risultare quasi il frutto di una fantasia. Da questa densità abbiamo cercato di grattare le immagini (soniche e visive) che a mano a mano hanno iniziato a delinearsi come ossatura di questo lavoro. Abbiamo scelto di non utilizzare l’ intera palette di suoni raccolti, cercando piuttosto di procedere per sottrazione, preferendo evocare e desaturare anzichè caricare…
Il progetto Crossings per Radio Papesse può considerarsi in qualche modo un prologo a Parallel 41? Puoi spiegare di cosa si è trattato?
Molto relativamente. Il progetto realizzato con Davide e Julia resta un lavoro concepito in quei momenti trascorsi insieme e negli interstizi delle assenze. La raccolta dei suoni a cui appena posso mi dedico interessa in larga parte Napoli e New York. Grazie ad un lavoro commissionato da Radio Papesse parte di questi appunti sonori è diventata un radio documentario intitolato Crossings. Un ritratto delle due città il cui intento era quello di generare una sorta di straniamento percettivo. In un personale puzzle emotivo fatto di sostituzioni e di rimandi le due città si fondono l’ una nell’altra diventando, a tratti, facce della stessa medaglia urbana.
Questo interesse per il suono dei luoghi (che fatti i dovuti distinguo a me ha ricordato in qualche modo il metodo di Chris Watson) potrebbe avere una valenza persino etnografica (penso ad esempio alle voci da mercato, piuttosto che i rumori della metropolitana, che si ascoltano sul disco). C’è anche uno studio di questo tipo nel tuo lavoro? Da quando hai cominciato ad interessarti a questo genere di ricerca sonora?
E direi di evidenziare bene i dovuti distinguo! Chris Watson è artista raro e dalla sensibilità magica. Ho amato molto il suo ultimo lavoro El Tren Fantasma. Da qualche mese sono stata accolta nel collettivo AIPS, una realtà dedita alla promozione della cultura dei paesaggi sonori. Anche se il mio interesse è relativamente giovane. Si è nutrito di ascolti altrui, da Lomax a De Martino fino alla scoperta dei lavori documentaristici di Cecilia Mangini che analizzano suoni rituali del Sud dell’Italia. Ricordo che la scoperta e l’ ascolto di Symphonie Pour Un Homme Seul (Schaeffer/Henry) ha generato in me un certo turbamento! Un’allucinzione la cui portata deve aver scosso qualche neurone in un senso opposto a quello al quale evidentemente stavo viaggiando. Le mie umili orecchie ignoravano assolutamente non solo l’esistenza di quell’opera ma soprattutto erano prive dell’ immaginazione che contempla l’ utilizzo del suono nella sua interezza. Fruscio, rumore, ambienti, stridii organici, strumenti: un tripudio di suoni, oscuri e spiazzanti a servizio dell’opera (sonora) totale.
Dai tempi di Cabaret Noir ad oggi, attraverso tutti i tuoi progetti (Poe-Si, Kuul-Ma, i lavori a tuo nome) la tua musica ha cambiato progressivamente scenario, eppure la tua vocalità ha sempre mantenuto una linea subito ben riconoscibile. E’ una scelta precisa la tua?
Mmm, non saprei. Non sono ne lungimirante ne capace di programmare a cosi ampio raggio. E forse ci si concede dei (ri)pensamenti. Fa parte della crescita ricercare altri modi, altre possibilità. Cerco di imparare qualcosa di volta in volta dalle persone che ho la fortuna di incontrare: si può imparare molto anche osservando un artigiano che cuce un abito…
Una mia curiosità: hai studiato canto?
In parte ho anche praticato lo studio del canto, in modo poco ortodosso e abbastanza disomogeneo; delle lezioni di tecnica classica qua e la; lo studio (forzato ahimè) del pianoforte da bambina, ma resto prevalentemente un pò selvatica.
Ho notato che spesso torni a lavorare con gli stessi nomi (Marco Messina, ad esempio).
In realtà temo di aver chiuso molte porte: concluso un ciclo è come se elaborassi un simil-lutto. Tendo a sgretolare per poter ricucire su altri presupposti. Marco è l’ eccezione. Ha un atteggiamento molto propositivo. Siamo amici e questo “resta” e forse talvolta complica.
Come e quando è nata, invece, la collaborazione con Davide Lonardi? Quanto è importante il suo apporto dal vivo ed invece come è sorta l’idea di Faraway Close? In sede di recensione ho scritto quanto le due parti audio e video risultino complementari l’una all’altra.
Grazie per la tua generosa e attenta recensione! Quello con Davide, risalente al 2007, è un sodalizio su più livelli. Quando ci siamo incontrati era alla ricerca di un brano da utilizzare per il suo primo lungometraggio autoprodotto Moto Apparente. Si è prestato ai live e alle avventure più performative; da Poe_Si (progetto che ci ha visti a fianco di Marco Messina e del pianista Mirko Signorile) a Viseu Aural Chronicles (progetto lusitano di residenza e performance a fianco dell’ artista portoghese Leonardo Rosado) ma Davide giustamente rivendica la sua appartenenza alla celluloide e alla scrittura. Non so esattamente quando e come sia sorta l’ idea di Faraway Close, evidentemente nel farsi. La sua camera, a tratti invisibile, ha rappresentato per noi l’elemento mancante, l’ anello di congiunzione ideale che ci è spesso venuto in soccorso sottraendoci ad un’eccessiva indeterminatezza.
Parallel 41 avrà un seguito? Pensi alla possibilità di un disco registrato in studio?
Ci abbiamo pensato pur non avendolo ancora immaginato; lasciamo la porticina aperta. Un secondo lavoro su supporto sarebbe certamente in studio.
Che strumenti usi dal vivo e quali per le tue registrazioni sul campo?
Prevalentemente faccio uso della voce. Non di rado trasfigurata con filtri e pedali di uso comune. Spesso dei field recordings pre-registrati ed eventualmente manipolati al momento. Qualche strumento (non necessariamente o non solo “musicale”) a servizio delle sonorità che desideriamo ottenere in un dato momento, e, per quanto coltivi il desiderio di averne molti in un futuro più ricco, non ho tantissimi marchingegni artigianali come “Matilda” (un device low-fi assemblato dal multitalentuoso Andrea Serrapiglio). Per le registrazioni ambientali ho un paio di registratori digitali ed un piccolo arsenale di microfoni (tra cui dei microfoni a contatto, un idrofono e quelli binaurali, che permettono di essere invisibile e talvolta di rubare suoni in contesti in cui esporsi risulterebbe inopportuno)
Pur se non sempre così immediatamente riconoscibile, ho l’idea che anche nella tua musica (oltre che nei field recordings) ci sia tanta Napoli. Qualcosa di profondo da rintracciare oltre la superficie; una mediterraneità che si esprime in forme sottili, come dire, tra le note. Quanto questa presenza è meditata e quanto lascito genetico (o quanto entrambe le cose)? In Anti- Gone hai anche riletto un classico della canzone partenopea (Passione). Perché proprio quel brano?
Aldilà degli stereotipi in cui è facile scivolare è uno di quei luoghi che diventa uno “stato mentale”. Sospensione, rabbia, chaos, rassegnazione, ammuina, assenza, sgomento…come liberarsene. Tra l’ altro non vivendoci da diversi anni a tratti si dilata, diventando ingombrante. Passione? Una canzone che racchiude e “chiude”. Una domanda molto personale, la cui risposta è adesso anche tanto distante.
E’ riduttivo (se non addirittura scortese) dirti che la tua musica mi comunica qualcosa di ineffabilmente, ma intrinsecamente, femminile, che va oltre la tua voce o la tua presenza scenica? Qualcosa che si esprime anche in termini di scrittura, di suono, di metodo. Anti-Gone può dirsi in questo senso un’affermazione di femminilità?
Ma scherzi! In realtà ingigantisci un microcosmo appena percettibile! Non ho strumenti per fare questo tipo di riflessione, sarebbe troppo autoreferenziale! Anti-Gone alludeva a delle figure cardine dell’immaginario femminile, voci che non possiamo però relegare in un ambito esclusivamente “rosa” dati i tratti di universalità di cui sono portatrici.
Adesso sei impegnata con Soon Apres, di cosa si tratterà? Quanto ci sarà di simile e quanto di diverso dai lavori precedenti?
E’ un assemblaggio di drones e field recordings, elettronica, voci e strumenti a corde. Farà uso di memorie private ri-trovate e a tratti scivolerà nella forma canzone. E’ ancora in fase di assestamento. Oltre a questo sono molto felice delle collaborazioni in atto con Enrico Coniglio, Nicolas Bernier, Leonardo Rosado, Mark Walters, Andrea Serrapiglio, Erika Scherl. Al momento sono, anche, impegnata nell’allestimento di Self Made Worlds, un lavoro in collaborazione con la video-artista francese Aude Francois che presenteremo il 5 dicembre negli spazi del Teatro Lenz di Parma (nell’ambito del Festival di Performing Arts triennale ideato da Natura Dèi Teatri). Mentre a metà novembre faremo un mini tour per Parallel 41 .
Cos’è invece Exquisite-What!?
E’ di fatto un collettivo che si è formato sul web. Assembliamo una serie di scene audio/visive suddivise in segmenti mutuando il metodo surrealista dei Cadavre Exquis Abbiamo iniziato a passarci il testimone (suoni, fotografie, video) nel dicembre del 2010 e siamo sul finire di una prima serie di ciò che ccnsieriamo un esperimento di web-arte partecipatoria. Solo la rete poteva contenere il nostro incontro: basti pensare all’ elevato numero di persone coinvolte (siamo circa 40 spalmati a diverse latitudini) e all’eterogeneità delle stesse. Cercheremo sia di pubblicare che di ipotizzare dei live… Sogniamo un’ allestimento performativo ibrido; sospeso tra uno spettacolo teatrale e un live set: una serie di performances semi-simultanee la cui struttura evochi quella di un alveare.