Tornano col terzo disco i Bass Drum Of Death, diventato col tempo il progetto solista di John Barrett, unico ad essere rimasto saldamente in sella ed aver guardato i suoi ex sodali entrare e uscire dalla band. Il ragazzo del Mississipi (affiancato a questo giro dal batterista Len Clark), partito con l’intento di suonare sporco Lo-Fi Garage sulla scia della “new wave” californiana capeggiata dai vari Ty Segall, Thee Oh Sees, Mikal Cronin eccetera, per questo nuovo album ha deciso di scoprire completamente le carte e di dichiarare apertamente al mondo musicale indipendente la propria immensa paraculaggine.
Eh sì, perché il buon Barrett sa perfettamente cosa vogliono i ragazzacci come lui, quelli con i capelli lunghi, le Vans sdrucite ai piedi, le lattine di birra acciaccate in una mano e il joint nell’altra; vogliono i riff grassi, il rock’n’roll boombastico, l’energia e la velocità, 10 brani in poco più di mezz’ora, giusto il tempo di spostarsi da un drugstore all’altro.
Quindi: basta con questo Lo-Fi, basta con la psichedelia stonatella e con il fuzz che aveva contraddistinto le precedenti uscite, per il terzo disco occorre una produzione più sostanziosa. Batteria potente, riffoni di scuola Glam/Powerpop alla maniera dei Cheap Trick (roba che ultimamente riesce bene anche ad un’altra puttanella del R’N’R, King Tuff), canzoni catchy e ritornelli gommosi e appiccicosissimi.
Funziona questa forma di Garage Rock aggiornata per le nuove generazioni? Ebbene sì. Perché la cosa sarà anche un pochino studiata, ma è ben difficile resistere a bombe molotov come l’iniziale Electric, alla potenza cadenzata di Sin Is In 10, al Punk da numero telefonico scritto col rossetto nei cessi pubblici di Burns My Eye.
La cosa funziona pure quando il nostro ti spara il numeretto acustico (sempre però carica di energia teenage) con Better Days, oppure quando in chiusura di scaletta omaggia sfacciatamente il Glam’N’Roll dei Milk And Cookies con Route 69 (Yeah).
Sì John, un bel Yeah per te lo diciamo anche noi.