Come fossimo esploratori ai quali è stata affidata una missione: risalire dal Mali al Mississippi. Non solo per soddisfare una curiosità libresca e occhiuta e ripercorrere una genealogia musicale; vogliamo anche recuperare un genuino approccio al suono. Occorre però accostarsi cautamente a ciò che conosciamo poco (o male), non rifugiarsi nella rassicurante condizione del turista, che tutto apprezza, purché espressione di una prospettiva eccentrica rispetto alla propria. Dunque, chi non è particolare conoscitore della tradizione musicale del Mali, sia cauto nell’approcciarsi all’ultimo lavoro di Bassekou Kouyate, come sempre accompagnato dalla fida band Ngoni ba. Superato questo momento di distacco, l’ascoltatore si dia pure alla pazza gioia. Perché, se la musica dev’essere (anche) felicità, sentimento cristallino, curiosità nei confronti del creato. Se la musica è tutto questo, qui c’è pane per chi la ama. Questo signore non è certo un novellino; dal 2007, anno dell’esordio Segu Blue – seguito due anni dopo da I Speak Fula, con tanto di candidatura ai Grammy Awards – ha tenuto centinaia di concerti in giro per il mondo, accompagnandosi agli artisti più diversi: pop stars occidentali (Sir Paul McCartney, John Paul Jones, Damon Albarn), raffinati stilisti della propria (il connazionale Toumani Diabaté) e di altre tradizioni musicali (Béla Fleck). Non a caso, Jama Ko – espressione che sta per “grande adunata di persone” – è un disco che sa quello che vuole. Il liuto ngoni, suonato da Kouyate e da Abou Sissoko, divampa in tutte le direzioni e ci riconcilia con il virtuosismo, quello necessario, espansione delle vibrazioni della terra, della vita; oltre alla già citata band, a modellare questo funk ancestrale, troviamo giovani musicisti provenienti dalla capitale Bamako. In questo contesto, qualitativamente e stilisticamente omogeneo, possiamo segnalare la title track, la scatenata Ne Me Fatigue Pas, la sinuosa Kele Magni (con la partecipazione di Khaira Arby), il blues di Mali Koori (cotton song) e Poye 2 (con Taj Mahal). Ma non serve fossilizzarsi sui singoli episodi di un’opera – sapientemente prodotta, tra il Mali e Montreal, da Howard Bilerman – che ha tutte le carte in regola per soddisfare gli appassionati del genere.