Quanto ci hanno raccontato i due principali artefici della serata risponde poi davvero a quanto visto sul palco, perché l’operazione riesce ad allontanarsi dal mero revival, dispiegandosi come un perfetto connubio fra filologia, libera interpretazione e intrattenimento.
Come spiegatoci, l’intento principale di Calibro 35 e soci, per un totale di undici elementi sul palco, è non tanto far riscoprire musiche che comunque gli appassionati del genere conoscono benissimo, quanto dimostrarne, ai “profani”, l’estrema varietà dal punto di vista di soluzioni compositive e la grande attualità, facendosi accompagnare esclusivamente da una scenografia luminosa che gradua dalla glacialità dell’azzurro all’infernale e “profondo” rosso finale.
Il ventaglio dei brani scelti è poliedrico, sicuramente esaustivo e si snoda attraverso una scaletta perfettamente indovinata, con un inizio da ouverture vera e propria, ossia la suite de La casa dalle finestre che ridono (un Avati degli esordi, malsano e cattivo come pochi altri del genere), un proseguire più disteso con stravaganti intermezzi pop, qual è l’Ortolani patinato e melenso di Cannibal Holocaust, e con accelerazioni improvvise in cui Cavina e Rondanini viaggiano come al loro solito.
Gabrielli dà sfoggio della consueta vena improvvisativa, molto più alla tastiera (e vederlo suonare un gran coda, finalmente, è una gioia) che ai fiati nella circostanza e si cala alla perfezione nel ruolo di maestro concertatore di un ensemble da camera rock più che direttore di un’orchestra: guida la dinamica delle parti più improvvisate con smorfie, gesti, facce e grida rendendo anche visivamente il grottesco dell’orrifico mentre l’insieme lo asseconda con grande compattezza.
In esso si ritrovano gli archi di Rodrigo D’Erasmo e Daniela Savoldi, autentiche vette di “terrore” fra armonici e soluzioni rumoristiche, mentre la sezione di ottoni simula il ripieno orchestrale e la parte di contrappunto percussionistico è affidata a Sebastiano De Gennaro, che a volte suona sin troppo in disparte ma che è fondamentale quando interviene con xilofoni e marimba.
La sezione centrale è quasi tutta dedicata al Morricone sperimentale di fine ‘60-inizio ‘70, in cui si segnala lo spettrale theremin di Vincenzo Vasi (peccato per qualche problema di acustica nella circostanza), eccezionale quando dialoga soave con la voce di Serena Altavilla, ottima, dal canto suo, anche nel confronto con la Vanoni di Quei giorni insieme a te (Non si sevizia un paperino, di Lucio Fulci) e con la Lullaby satanica di Profondo rosso. E la cavalcata jazzy dell’inseguimento de Il gatto a nove code conduce spedita al medley finale tutto dedicato ai Goblin argentiani, quasi a ridare certezza allo spettatore che le radici dei Calibro 35 sono quelle e rappresentano forse la vera summa del progetto.
Il tema de La morte accarezza a mezzanotte chiude un concerto eccezionale, mai banale sfoggio di virtuosismo, ma semplice dimostrazione che avanguardia, pop, trash, splatter, melodia e cacofonia possono convivere splendidamente e che la lezione dei compositori italiani dai quarant’anni fa a oggi è ancora vivissima, portata da una band straordinaria (con soci non da meno) ad un pubblico entusiasta, segnale che in Italia, certo, si deve rischiare ma si può (e in alcuni casi si deve) fare.
organico
Massimo Martellotta, chitarra; Enrico Gabrielli: tastiere e fiati; Luca Cavina: basso; Fabio Rondanini: batteria; Rodrigo D’Erasmo: violino; Daniela Savoldi: violoncello; Paolo Raineri: tromba; Francesco Bucci: trombone; Sebastiano De Gennaro: percussioni; Vincenzo Vasi: theremin e voce; Serena Altavilla: voce.
La foto galleria completa realizzata da Bianca Greco