E’ uscito a fine ottobre con Jestrai 1975, il secondo lavoro dei Chaos Physique, band formata da Amaury Cambuzat (Ulan Bator), Pier Mecca (F.iu.b.) e Diego Vinciarelli (Sexy Rexy). L’album, registrato in presa diretta con il supporto tecnico di Marco Gaudesi, direzione artistica di Amaury Cambuzat e mastering presso la henhouse studio da Alberto Ferrari, è uno speciale connubio tra suoni psichedelici, quasi visionari, ballate anticonvenzionali , post rock, kraut, rumore puro.
Vale la regola che il secondo album sia sempre il più difficile nella carriera di un artista, quindi ai Chaos Physique si può parzialmente perdonare il fatto che questo LP sia di fatto un’esasperazione del loro stesso sound, già presentato due anni fa con l’album d’esordio The Science of Chaotic Solutions e che qui ritorna come sottotitolo, a sottolineare, insieme al nome della band e alla stravagante cover art, come l’anarchia del suono regni sovrana nel progetto musicale della band.
In 1975, prima di parlare delle singole tracce, è giusto fare attenzione all’amalgama musicale complessivo, con avvolgenti atmosfere cupe ricreate in più punti, e una devozione nella creazione dei suoni che difficilmente sarebbe così evocativa se non ci fosse la mano attenta di Cambuzat dietro le quinte.
Eppure spiccano: i suoni eterei di Moving Your Hair, subito smorzati dall’ andamento isterico, spezzato e psichedelico di Capt Ain Boom. E poi: il titolo quanto mai attuale di Bunga Bunga, una delle canzoni più lunghe, e la presenza rumoristica di Jean Herve Peron (fondatore dei Faust, i suoni della motosega sono suoi) in Chainsaw Beauty. Infine: l’elettronica, in Electric Dreams, prima che tutto muoia nella catartica ed esasperante Long Running Train, lunghissima traccia conclusiva, un’agonia di suoni. Solo Analphabet City lascia nella memoria motivi più vivaci, mentre tutto il resto del disco porta l’ascoltatore a perdersi tra loop sonori e sperimentazioni. 1975 è uno dei progetti più interessanti usciti a fine 2011, e, come il titolo suggerisce, porta l’ascoltatore a immergersi negli anni ’70, in un setting che potremmo collocare, più o meno, a Berlino o giù di lì. Di una malinconia industriale tipicamente europea, è un lavoro che andrebbe ascoltato, ma che per scelte molto precise, non è per tutti.